Grande successo di pubblico per l’inaugurazione della mostra “Mario Micossi: ju pai ciamps di Versuta. Incisioni, graffiti e disegni sui luoghi di Pasolini”

Sabato 8 febbraio 2020 si è svolta con successo l’inaugurazione della mostra del Centro Studi Pasolini, intitolata “Mario Micossi: ju pai ciamps di Versuta. Incisioni, graffiti e disegni sui luoghi di Pasolini”. L’esposizione delle opere dell’artista friulano, realizzate tra il 1994 e il 1995, sarà visitabile fino all’8 marzo nei consueti orari di apertura del Centro. Si tratta della prima di un ciclo di iniziative che nel corso di tutto il 2020 si succederanno per ricordare i 75 anni dalla nascita di quella straordinaria esperienza poetico-pedagogica che è stata l’Academiuta di lenga furlana. Dopo l’introduzione del presidente del Centro Studi Pasolini Piero Colussi, l’assessore alla cultura Fabio Cristante ha portato il saluto dell’amministrazione comunale, così come l’assessore alla cultura di Artegna Rossella Gomboso, intervenuta insieme al vicesindaco Adriano Merluzzi. Il consigliere regionale Tiziano Centis, invece, ha portato il saluto del Consiglio regionale. Tra i presenti anche Giuseppe Morandini, presidente della Fondazione Friuli, che sostiene le attività del Centro.

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Il curatore della mostra, lo storico friulano Gianfranco Ellero, ha illustrato la figura dell’artista Mario Micossi, in particolare ricordando la genesi delle opere legate a Pasolini e al paesaggio del borgo di Versuta.
Giacomo Trevisan, studioso pasoliniano, ha letto alcuni brani tratti da “Pasolini, una vita” (Einaudi, 1989), la bella biografia scritta dal poeta e cugino di Pasolini Nico Naldini, in cui descrive le giornate passate insieme agli altri giovani dell’Academiuta di lenga furlana.
Tra il numeroso pubblico anche Anna Micossi, nipote dell’artista nativo di Artegna.

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Si propone di seguito il testo integrale della presentazione della mostra scritto dal curatore Gianfranco Ellero:

Non saremmo qui stasera se il 18 febbraio 1945 a Versuta non fosse stata fondata l’Academiuta di lenga furlana.

Poteva essere una delle tante clapis che i giovani fondano in Friuli, di solito con nobili intenti e ambiziosi programmi, e poi si sciolgono come neve al sole senza lasciare tracce. 

Quel giorno, invece, fu aperta una miniera d’oro, così definibile perché a 75 anni di distanza siamo ancora qui a estrarre pepite.

Io stesso non sarei venuto a Casarsa per una decina d’incontri se Pasolini non avesse chiamato “patria” Casarsa e i dintorni, dal Tagliamento a Pordenone, da Valvasone a Caorle. La prima volta fu il 24 aprile 1976, quando presentai il volume “Pasolini in Friuli” nella sede del Municipio progettato da Gino Valle. C’era anche Zigaina, ricordo.

E stasera non saremmo qui per una mostra davvero straordinaria.

Non è la prima volta che vengono interpretati e rappresenatti in forma grafica o pittorica i luoghi e i testi di Pasolini. Vorrei ricordare, visto che sono presenti in sala, Giovanni Castellarin ed Elio Ciol, fotografi illustri.

Nel 2003, in veste di Presidente del  Centro Friulano Arti Plastiche, impegnai i migliori artisti del sodalizio, e fra essi Mario Micossi, in interpretazioni di Pasolini da esporre all’Intart di Lubiana, l’Internazionale d’arte “dei tre poeti”: gli sloveni scelsero Kosovel, i carinziani Handke, noi Pasolini. Ogni artista del Centro una poesia da interprerare con segni e colori per omaggio al nostro Poeta, e l’Artista di Artegna consegnò la grande veduta del Tagliamento, che possiamo vedere in mostra questa sera.

A Lubiana portammo, quindi, un’antologia pittorica.

Nel 1994-1995 Micossi produsse, invece, un grande poema monotematico sul paesaggio, ponendosi dallo stesso punto di vista del Poeta: anche questa è una componente dell’originalità della mostra, felicemente intitolata da Piero Colussi “ju pai ciamps di Versuta”.

Ora, al fine di riandare all’origine delle opere in esposizione, dirò che iniziai a studiare, parallelamente, il Poeta e il Pittore nel 1970.

Già conoscevo, episodicamente, Pasolini dalle riviste della Filologica e dall’antologia di Gianfranco D’Aronco.

Micossi lo conobbi in occasione della sua prima mostra in Italia, che si tenne a Udine in Via Aquileia, nella piccola ma importante galleria del Ventaglio.

In entrambi i casi fu, per me, amore a prima vista e decisi di studiare in profondità non soltanto le loro produzioni, ma anche le stesse vite dei due artisti.

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Le due linee parallele, di attrazione e di studio, divennero convergenti nel 1993, quando la Società Filologica Friulana mi incaricò di curare il numero unico “Ciasarsa”: il titolo completo, “Ciasarsa San Zuan Vilasil Versuta”, è un endecasillabo di toponimi da me composto per omaggio al Poeta che aveva sempre adoperato nei suoi scritti i nomi di luogo per dialogare con l’amato paesaggio.

Andai dunque ad Artegna per proporre a Micossi di creare alcune vedute di Versuta e da Versuta e lui accettò con entusiasmo.

Non si trattava di un accostamento forzato, o pretestuoso, perché il paesaggio ricorreva molto spesso in Pasolini, fin nelle opere dell’adolescenza. Ricordavo un disegno topografico, da lui stesso disegnato, con al centro Casarsa, circondata dai paesi dei dintorni, distinti per nome e anche per inflessione e lessico dialettale, come si legge nella straordinaria raccolta “Dov’è la mia patria” del 1949 senza punto interrogativo. Il titolo non contiene una domanda, infatti, bensì un’affermazione: la mia Patria, ammonisce il Poeta, è dove si parlano una decina di dialetti ladini e le varietà venete di Pordenone e Caorle. Non mera topografia, quindi, ma geografia linguistica in forma di poesia!

Nel 1993 ero certo che Micossi, straordinario paesaggista, ma anche uomo di profonda cultura e sensibilità, fosse l’uomo adatto a realizzare un progetto interpretativo, non meramente illustrativo, dei paesaggi descritti da Pasolini in versi o in prosa; e il progetto fu realizzato nel modo più alto perché Mario, come ebbe a scrivere nelle pagine intitolate “Da Versuta e dalla Versa”, trovò uno dei punti di vista ideali per ritrarre l’amato paesaggio del Friuli: non troppo vicino alle montagne, come ad Artegna o sulle colline moreniche, e non troppo lontano, come a Fraforeano, il mio paese. La linea delle risorgine, che passa per Casarsa e Codroipo, offre i migliori punti di osservazione dell’intero teatro naturale, che Mario definisce “diadema”.

Mi sento quindi felicemente responsabile dell’incontro fra due artisti che non si erano mai incontrati di persona: le opere di Pasolini videro la luce verso la metà degli anni Quaranta, quelle di Micossi verso la metà dei Novanta.

Dopo tanto, posso affermare e dimostrare che la mostra di questa sera era già formulata e illustrata nel 1995 fra le pagine del volume della Filologica, e molto mi meravigliai, negli anni seguenti, che il Centro Studi non l’avesse realizzata. Credo che se ne meravigliasse anche Micossi, perché lasciò i materiali di preparazione e le incisioni ben ordinati e raccolti in distinte cartelle, pronte per l’uso. Il Centro non si avvide di Micossi, la Cantina sì: utilizzò infatti una delle sue opere per un’etichetta!

Io ringrazio, quindi, Piero Colussi per aver accettato la proposta mia e di Anna Micossi, e passo a qualche commento.

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Incominciamo dal paesaggio in Pasolini.

Le sue poesie in friulano o sul Friuli sono in verità una mostra del paesaggio, e spiegano molto bene anche il rapporto visivo che esisteva, in un tempo in cui non si viaggiava “par gust”, fra i friulani di pianura e la superba visione delle Alpi: La neif a cujers la vignuta e la roia selesta a spiegla la Ciargna soreglada. La Carnia, sinonimo di montagna verso nord, quando la si vedeva dalla pianura, era assolata, soreglada, appunto.

Bisogna essere molto attenti e partecipi per apprezzare fino in fondo le immagini letterarie, perché in Pasolini “tout se tient” come dicono i francesi.

Leggiamo ad esempio l’incipit di una citazione in catalogo: Questo paesaggio torna ogni febbraio. Altri avrebbero scritto si riforma, si ricompone, si rinnova, riappare … : no, no, è un paesaggio che necessariamente torna, quasi immutabile, per la ciclicità del sole e delle stagioni del mondo contadino e cristiano del Friuli, che a suo modo gli appare perfetto.

Ma il paesaggio di Versuta o di un altro paese dei dintorni appartiene a un contesto geologico e climatico:

“Questo paesaggio torna ogni febbraio, – scrive il Poeta – quando la campagna è così ritratta nel suo silenzio, i legni così incorporei, che l’occhio può spaziare senza freno verso il Nord, dietro la Richinvelda, fino a quella celeste barriera di crinali e di vette incolori, ma distinti dal cielo, appunto, dalla riga indecisa delle nevi. Nelle giornate terse, nelle prime ore del mattino, vi si distinguono i ghiaioni, i dirupi, le macchie turchine dei boschi, i solchi candidi dei torrenti, le minime pieghe dei declivi, come se fossero impresse in una sostanza vitrea che si differenzi impetuosa e immobile dalle plaghe immemori del cielo”.

Sì, noi friulani di pianura siamo imparentati dall’eterna visione delle Alpi, che ci lega anche alle generazioni passate e future. Le Alpi sono una catena viva, che cresce di cinque centimetri al millennio, dicono i geologi: quindi noi le vediamo come le vedeva l’imperatore Augusto, e altri le vedranno praticamente identiche fra duemila anni …

Veniamo ora al paesaggio di Micossi, che non è soltanto quello friulano. Si è misurato con la Campagna romana, con le grandi città d’Europa e d’America, con le Dolomiti, le Giulie e l’Himalaya … Stiamo parlando di un grande paesaggista e, credo di non sbargliare, dell’artista friulano più noto e soprattutto più visto nel mondo: basti dire che dipinse quattro copertine del settimanale “The New Yorker” quando la rivista tirava più di seimilioni di copie! Non so quanti altri artisti del Friuli abbiano avuto una simile diffusione.

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In esposizione ci sono non soltanto le incisioni, cioè i prodotti finali, ma anche acquerelli en plein air, graffiti, disegni a matita, cioè le opere preparatorie, che documentano il suo approccio emotivo e frenetico al paesaggio, la lenta sedimentazione delle emozioni fino alla razionale produzione di un’immagine molto riconoscibile ma di fatto ricreata sia nelle proporzioni fra gli oggetti che nella colorazione. Potremmo parlare di un serrealismo analogico.

A proposito di frenesia, quasi di concitazione per cogliere il momento favorevole, che dura sempre poco nel paesaggio, è interessante notare che su un disegno di Sant’Antonio a Versuta lui scrisse affrettatamente San Nicola!

Anche le opere di Micossi richiedono molta attenzione e meditazione.

Un tardo pomeriggio d’inverno di tanti anni fa, entrando nella sua casa di Artegna dissi: “Venendo su da Udine stasera ho visto un tramonto alla Micossi” e lui sorridendo rispose: “Sì, sì, lo so, qualche volta la natura mi imita”.

Attenzione anche ai particolari, per essere davvero comprese. Nella grande veduta del Tagliamento, ad esempio, in basso a destra si vede un arbusto trascinato in pianura dall’acqua, che con la sua inclinazione ci fa capire la direzione della corrente. Nella bellissima sera in turchese, con il Casel e sullo sfondo il campanile di San Giovanni, possiamo cogliere il miracolo dell’acqua in lento movimento in basso a sinistra. Nel bozzetto all’acquerello, che appare sulla copertina del catalogo, sgorga luce dalla fontana di Versuta, non fresca acqua di risorgiva …

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Vorrei concludere con una riflessione di Pasolini.

Per molti anni le sue profezie – Al vegnarà ben il dì che il Friul si necuarsarà di vêi na storia, un pasat, na tradision … oppure  Tornerà a Cordovado, a Ramuscello, a Gleris il mattino di una domenica di primavera! – furono per me un tonico corroborante, come lo furono per gli autonomisti che in tempi difficili vollero questa regione come casa della friulanità e la ottennero.

Oggi credo di aver scoperto un’amara verità: le profezie di Pasolini significano il contrario di quanto dicono. Non esprimono speranza ma disperazione.

Il Friuli non si accorgerà di avere una storia, un passato, una tradizione, cioè dei tesori culturali da conservare e tramandare.

E le incisioni di Micossi, direte voi?

Anche l’artista di Artegna, per ritrarre Versuta, ha dovuto ignorare le villette da periferia sudamericana, come scrisse su una pagina del numero unico della Filologica.

Erano entrambi consci che era in atto uno “sviluppo senza progresso”, e il Poeta fu ancora disperatamente profetico poco prima di morire tragicamente fra l’1 e il 2 di novembre 1975:

                             Li pìssulis fabrichis tal pì bièl

                             di un prat vert ta la curva

                             di un flun, tal còur di un veciu

                             bosc di roris, a si sdrumaràn

                              un puc par sera, murèt par murèt

                              lamiera par lamiera…

Ciò significa che il paesaggio non torna più ogni febbraio

e le case non sono più abitate dalla “meglio gioventù” che lui conosceva.

Le foglie non si trasformano più in fuejs come quando Lui, tornando in treno da Bologna, superava il ponte sul Meduna.

A Cordovado, a Ramuscello, a Gleris non tornerà quindi il mattino di una domenica di primavera: lo sapeva l’Autore della struggente elegia e lo sapeva il Pittore dopo cinquant’anni.

Ma quel paesaggio vivrà per sempre nella luce della poesia che loro seppero creare.

 

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