PPP, il Pci e i processi. Al CSPPP incontro con Anna Tonelli e Daniele Ongaro

Sandro Bellassai firma su “L’Indice” una acuta recensione del libro di Anna Tonelli  Per indegnità morale. Il caso Pasolini nell’Italia del buon costume (Laterza 2015), che sarà presentato al Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa della Delizia giovedì 19 maggio 2016, alle ore 18.
L’indagine della studiosa, che è docente di storia contemporanea all’Università di Urbino, getta finalmente luce sui particolari centrali del cosiddetto scandalo di Ramuscello, che nell’autunno del 1949 comportò per Pasolini, reo di atti osceni in luogo pubblico e di corruzione di minori,  sia la perdita del posto di lavoro da insegnante che l’espulsione dal Pci: un trauma lacerante per la biografia del poeta e una svolta decisiva per il suo futuro di uomo e artista. Anna Tonelli ricostruisce il contesto storico-politico della vicenda, facendo affiorare dettagli inediti e interpretando anche il lungo silenzio sul fatto dello stesso Pci.
Per Pasolini fu comunque l’inizio di un vera e incredibile persecuzione giudiziaria, che anche in seguito lo vide sulla barra degli imputati per un complesso di 33 processi e sotto l’accusa di una miriade di capi di imputazione. Su questa odissea giudiziaria si sofferma il documentario Il Santo Infame, sceneggiato per  Rai Storia nel 2015 da Daniele Ongaro (regia di Conversano), che sarà proiettato alla presenza dell’autore come contributo al dibattito, moderato dal giornalista Mario Brandolin.

“Per indegnità morale. Il caso Pasolini nell’Italia del buon costume”.
Una recensione 
di Sandro Bellassai

“L’Indice”

Nel 1949 Pier Paolo Pasolini fu espulso dal Partito comunista italiano per ‘indegnità morale’. Il punto di partenza della vicenda sono i ‘fatti di Ramuscello’, che innescano l’accusa di corruzione di minorenni e atti osceni in luogo pubblico. Pasolini diventa così immediatamente un bersaglio politico: per i democristiani l’avversario da colpire, per i comunisti il pericolo da allontanare. Fondamentale nella biografia e nel percorso artistico di uno dei protagonisti della vita intellettuale del Novecento, questo caso è cruciale per capire il clima culturale e politico del dopoguerra. Due ‘chiese’, Democrazia cristiana e Partito comunista, impongono due pedagogie collettive distinte ma finalizzate entrambe a codificare vere e proprie regole di moralità. Il partito deve orientare le masse nella vita quotidiana, correggere i comportamenti anomali e, di fronte a gravi errori, espellere. La scelta compiuta con Pasolini è, dunque, esemplare della modalità punitiva adottata nei confronti dei ‘compagni’ che trasgrediscono. L’indagine di Anna Tonelli getta finalmente luce su particolari centrali sinora inediti della vicenda, compreso il lungo silenzio del Pci.
Nel giugno del 1960 Pier Paolo Pasolini iniziava una rubrica su “Vie Nuove”, una corrispondenza con lettori e lettrici del settimanale popolare del Pci. I Dialoghi con Pasolini (poi raccolti in Le belle bandiere) sarebbero durati, con varie interruzioni, per ben cinque anni. Già dal 1957, comunque, Pasolini aveva scritto per il periodico diversi articoli: eppure questo lungo dialogo con il partito sarebbe forse stato, soltanto pochi anni prima, difficilmente immaginabile. Non solo infatti l’autore di Ragazzi di vita era stato duramente attaccato all’uscita del romanzo, nel 1955, da autorevolissimi critici del Pci; ben più clamorosamente, era stato addirittura espulso dal partito stesso, nel 1949, “per indegnità morale”. A grandi linee, quest’ultima vicenda è probabilmente nota anche ai più distratti conoscitori della biografia del poeta; mancava però finora una ricerca che, ricostruendone i passaggi in dettaglio, li inserisse anche entro una cornice contestuale opportunamente articolata sul piano storiografico.

"Per indegnità morale" di Anna Tonelli. Copertina
“Per indegnità morale” di Anna Tonelli. Copertina

È quello che ha provato a fare l’autrice, scorrendo carte di tribunali, degli archivi del Pci, del Ministero dell’interno, periodici nazionali e locali (del Pci e no), in un’analisi che è soprattutto dedicata, appunto, allo sfondo storico delle prime dolorose traversie giudiziarie di Pasolini. A quel lavoro culturale, quindi, e in generale alla militanza nel Pci in cui egli si impegnò con passione nel Friuli dell’immediato dopoguerra, e poi all’esplosione dello scandalo per corruzione di minorenni: i cosiddetti fatti di Ramuscello (altrimenti detti di Casarsa), dalla località in cui il poeta si appartò durante una festa campestre con quattro ragazzi del luogo. Tutto deflagrò alla fine di settembre del 1949. O forse no: innanzitutto, infatti, l’autrice contesta la datazione adottata da “tutte le ricostruzioni oggi disponibili”, collocando l’episodio non al 30 settembre, ma al 30 agosto. Il dettaglio non sarebbe così irrilevante: dato che i carabinieri, informati dalla “voce pubblica”, si mossero a metà ottobre, l’ampio lasso di tempo confermerebbe ulteriormente il sospetto che dietro lo scandalo operasse una regia democristiana.
Che all’epoca si svolgesse una battaglia politica senza esclusione di colpi, in effetti, è poco dubbio. Nico Naldini, cugino e biografo di Pasolini, riferisce come poco tempo prima avesse ricevuto da un parlamentare Dc la confidenza che “i cattolici friulani stanno cercando prove dell’anomalia sessuale di Pasolini per rovinarlo politicamente”. L’anno precedente, peraltro, il settimanale comunista di Udine riferiva delle denunce di una ventina di minorenni contro un insegnante e importante dirigente democristiano, definendolo senza mezzi termini “un porco, un depravato, un pervertito, uno specializzato corruttore di minorenni”. Per i fatti di Ramuscello, invece, le autorità avviarono le indagini senza denuncia: solo più tardi sarebbe stata presentata querela da parte di uno dei quattro ragazzi coinvolti, ma essendo costui già sedicenne all’epoca dei fatti, gli “atti di libidine” commessi con lui non si configuravano come reato. La realtà di tali atti peraltro non la contestava nessuno, nemmeno lo stesso Pasolini. Interrogato dai carabinieri, dichiarò infatti: “Non posso e non voglio negare che le dichiarazioni fatte dai suddetti ragazzi rispondono in parte almeno esteriormente a verità”. Secondo Marco Belpoliti, la famiglia del poeta avrebbe offerto una consistente somma ai genitori dei minori, affinché non sporgessero denuncia; forse anche per questo, il processo di appello si sarebbe concluso nel 1952 con una sentenza di assoluzione. Nel frattempo, Pasolini era stato allontanato dalla scuola friulana dove aveva insegnato per due anni, con una passione pedagogica “innovativa e per certi versi rivoluzionaria”, e si era definitivamente trasferito a Roma.
A pochi giorni dallo scoppio dello scandalo, il 29 ottobre 1949, “l’Unità” annunciò l’espulsione dal partito di Pasolini (già iscritto dal ’46 e segretario di sezione dall’inizio del ’48), iniziativa questa che Anna Tonelli definisce “frettolosa” e in merito alla quale ipotizza che sia poi intervenuta la direzione del Pci a “far sparire le carte”. Una parte importante del volume è in effetti dedicata a descrivere quella “morale politica intransigente che non contemplava i desideri e i tormenti omosessuali”; intransigenza, va da sé, che nel cattolicissimo Friuli degli anni quaranta non era certo esclusiva del partito di Togliatti. Ma per il Pci, bersaglio di una formidabile propaganda che raffigurava i suoi militanti come “mostri con il piede forcuto e la coda pronta a vibrare veleni, divoratori di bambini e stupratori di vergini e suore” – come avrebbe ricordato nel 1977 Mario Spinella –, era particolarmente “indispensabile mostrare e dimostrare che i comunisti erano cittadini (…) non troppo ‘strani’ e ‘diversi’, gente con cui sedersi al caffè, con cui parlare, da ricevere in casa, cui stringere naturalmente la mano”. Se i comunisti in effetti si volevano non troppo diversi dagli altri, ciò rischiava però di significare che fossero anche (e soprattutto) moralisti, sessisti, omofobi proprio come tutti gli altri.
Non a caso, fu lo stesso Pasolini a sottolinearlo, con la consueta irriducibile franchezza, in uno dei suoi primi Dialoghi su “Vie Nuove”: «C’è della pruderie, nella stampa comunista italiana: delle volte, certi articoli dell’Unità sembrano scritti con l’angoscia proibizionistica di una vecchia zitella. E anche Vie Nuove (diciamolo brutalmente) non scherza…». Nell’Italia del boom i rapporti fra Pasolini e il partito erano ormai cambiati, ma forse era ormai mutata, almeno in parte, la cultura morale del partito stesso, come sicuramente era cambiata la società italiana (e forse non è illogico vederli, questi mutamenti, come legati tutti fra loro). Così su “Rinascita” si denunciava, nel 1961, la «vera e propria persecuzione alla quale da tempo Pier Paolo Pasolini è sottoposto», a proposito dell’ennesimo processo: come avrebbe poi scritto Stefano Rodotà, Pasolini «rimane ininterrottamente nelle mani dei giudici dal 1960 al 1975».

Pasolini in tribunale (1963). Archivio Riccardi
Pasolini in tribunale (1963). Archivio Riccardi

Anche prima del 1960 altri processi lo avevano tormentato, tuttavia, oltre a quello per i fatti di Ramuscello. Denunce per “pubblicazione oscena”, ad esempio, erano piovute nel 1955 sul già citato Ragazzi di vita, con relativo sequestro: è questa – insieme alla collaborazione del poeta con “Vie Nuove”, e alla ricezione del Vangelo secondo Matteo e di Comizi d’amore – una delle altre direttrici verso cui la ricerca dell’autrice estende succintamente (cioè, rinunciando qui ad approfondire il contesto politico-culturale del Pci e della società italiana di quegli anni) il proprio raggio d’analisi, al di là delle vicende friulane. Senza dubbio sono proprio tali vicende, come si è detto, a formare il nucleo narrativo del volume; un trauma indelebile, per Pasolini, e fonte di enorme amarezza soprattutto nei confronti dei “compagni”. Così egli scrisse, subito dopo la propria espulsione, a quel dirigente friulano del Pci che su “l’Unità” ne aveva dato l’annuncio: «Tutto questo semplicemente perché sono comunista. Non mi meraviglio della diabolica perfidia democristiana; mi meraviglio invece della vostra disumanità; capisci bene che parlare di deviazione ideologica è una cretineria. Malgrado voi, resto e resterò comunista, nel senso più autentico di questa parola». Ma non fu ovviamente mai più – forse per sua, e anche nostra, fortuna – lo stesso comunista.

*Fotografia in copertina: Pordenone, 14 febbraio 1949, Congresso provinciale del Partito Comunista Italiano, Pasolini al tavolo della presidenza.