Pasolini e don Milani, con Paolo Puppa

 Si intitola “La voce solitaria” la conferenza che Paolo Puppa dell’Università di Venezia terrà al Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa, giovedì 14 aprile, alle ore 17.30, all’interno del percorso di “Incipit. Incontri con libri e autori”, che ha già visto la presenza di Filippo La Porta e Nico Naldini. Al centro dell’attenzione sarà ora un possibile raffronto tra Pasolini e don Milani e tra le loro rispettive esperienze e convinzioni pedagogiche, in singolare incrocio tra Casarsa e Barbiana. Sul rapporto tra i due maestri, ricostruito su basi rigorosamente filologiche e documentarie, Puppa ha anzi immaginato e scritto un verosimile carteggio epistolare, che è confluito nel libro Lettere impossibili. Fantasmi in scena: da Ibsen a Pasolini (Gremese, 2009) e che a Casarsa, a sigillo dell’incontro, sarà proposto anche in lettura-performance dallo stesso autore, in veste di attore-drammaturgo. Voci solitarie e inquiete entrambe, quelle di Pasolini e Milani, se si pensa al terreno comune del loro situarsi sempre fuori dal coro, del coraggio trasgressivo dell’intransigenza critica, della passione per il ruolo dell’educazione, progettata e praticata però con modi alternativi e non convenzionali di azione didattica, al confine dell’utopia. Ed entrambi poi, dopo la morte (per Milani nel giugno 1967; per Pasolini nel novembre 1975), destinati ad essere variamente fraintesi, strumentalizzati o tirati sotto le più diverse bandiere.

Paolo Puppa
Paolo Puppa

Pasolini, sismografo sempre avvertito sui fenomeni spiazzanti del suo tempo, fu subito attratto dalla scuola di Barbiana, la piccola parrocchia contadina di un depresso Appennino toscano dove il sacerdote Milani, convertito a vent’anni al cristianesimo dall’ebraismo di famiglia, era stato confinato come priore nel 1954 e lì aveva dato vita ad una singolare esperienza pedagogica per gli “ultimi”, i “Gianni” del popolo perennemente bocciati: una scuola durissima e severa, 12 ore al giorno per 365 giorni all’anno. Ne uscì nel 1967 quella Lettera a una professoressa, scritta insieme ai ragazzi, che fu subito censurata dalla Chiesa (lo stesso era già successo anche per Esperienze pastorali del 1958 e per Lettera ai giudici del 1965, sull’obiezione di coscienza), ma che per sfida alla miopia dei divieti fu presentata a Milano nello stesso ’67 da Turoldo, altro uomo di tempra eccezionale e prete disobbediente.Anche Pasolini, che aveva già avuto un contatto, malriuscito, con Barbiana, intervenne su quel libro scandaloso (poi libello-manifesto del ’68, non senza forzature ideologiche) durante un accalorato incontro con i ragazzi di Barbiana organizzato a Milano nell’ottobre 1967, in cui, mutuando gli slogan della Sinistra nera americana, disse di gettare “il proprio corpo nella lotta” ed esaltò quel testo come “straordinario”.

Dalla sua Pier Paolo aveva del resto il termine di confronto di una personale pratica reale di insegnamento, a Casarsa-Versuta durante la guerra, nella scuola media statale di Valvasone dal 1947 al 1949 e infine a Roma, in una scuola privata di Ciampino, dal 1951 al 1954. “Maestro mirabile” –così disse il preside De Zotti di Valvasone-, che applicava con originalità l’attivismo pedagogico di Dewey, ma finalizzava la sua “pedagogia pedagogica”, come ricorda Zanzotto, a scopi etici e alla valorizzazione della coscienza libera e critica. Posizioni appassionate che infine portarono Pasolini all’intransigenza provocatoria degli ultimi anni, alla proposta radicale dell’abolizione o della sospensione della scuola dell’obbligo, se essa aveva dismesso la sua vocazione formativa ed era diventata agenzia di conformismo e consumismo, parallelo e omologo a quello diffuso dalla Tv o dalla pubblicitàTante scintille scoccarono dunque a distanza tra i due maestri, scomodi, ribelli e appassionati, pur nella diversità dei temperamenti e delle scelte: Milani, testardo, savonaroliano e infuocato; Pier Paolo, mite, implacabile e poi disperato critico della modernità, innamorato della cultura e della poesia. Per entrambi, tuttavia, resta tenace il valore comune della forza rivoluzionaria dell’educazione. E in questo senso, anche alla luce della crisi drammatica che investe oggi la scuola, rappresentano, come ha scritto Goffredo Fofi, “gli ultimi veri pedagogisti italiani”.

[info_box title=”Paolo Puppa” image=”” animate=””]ordinario di Storia del teatro e direttore del dipartimento delle arti all’università di Venezia, è saggista, commediografo (con testi tradotti ed allestiti anche all’estero), nonché performer. Tra gli ultimi saggi, il teatro dei testi e Teatro e spettacolo nel Secondo Novecento. Sta dirigendo come coeditor per la Cambridge University Press e per la Routledge due volumi sul teatro e sulla cultura italiana. Tra le sue opere teatrali, La collina di Euridice e Zio mio hanno ricevuto il premio Pirandello e quello Riccione. Tra i testi narrativi ricordiamo Famiglie di notte e Venire. Di recente ha lavorato alla stesura di alcuni monologhi relativi alla tradizione classica e biblica, tra cui Salomè – contro la guerra in Afghanistan, Tre donne per un dio solo-contro la guerra israelo-palestinese (2002) e Parole di Giuda, da lui recitato a Palermo e a Torino. Nel 2003 sono usciti la raccolta teatrale Angeli ed acque (cinque commedie veneziane) e la monografia su Cesco Baseggio, ritratto dell’attore da vecchio. Nel 2004 ha curato l’edizione di Angelica di Leo Ferrero, satira tragica sul fascismo. Ha in uscita per Einaudi un volume su Peter Brook.[/info_box]