Nico Naldini: “Una striscia lunga come la vita”

Sarà festa d’amarcord per Nico Naldini, poeta, saggista, biografo, anche uomo di cinema, che sabato 17 ottobre ritorna a Casarsa della Delizia, dove è nato nel 1929 (come il conterraneo Elio Ciol) e ha trascorso la sua “meglio gioventù” al fianco dell’amato cugino Pier Paolo Pasolini. L’occasione, in programma alle ore 18 presso il Teatro Pasolini, è data dalla presentazione della raccolta antologica, tra poesia e prosa, Una striscia lunga come la vita, fresca di stampa per i tipi della Marsilio, grazie a una bella sinergia tra il Centro Studi Pier Paolo Pasolini e i Comuni di Casarsa della Delizia e San Vito al Tagliamento. Il libro, che sarà illustrato dal curatore Francesco Zambon e dagli amici di una vita, Angelo Battel e Olimpia Biasi, raccoglie le varie tappe del percorso poetico ed esistenziale di Naldini, consegnate alle raccolte che, tra autobiografismo, decantazione lirica e piccoli cammei su fatti minuti e ritratti di amici, disegnano l’affresco “romanzesco” di una ispirazione, con i puntelli dei suoi motivi ricorrenti.
Dagli primi passi lirici in friulano, dunque, ancora segnati dal gusto simbolista ed evocativo, fino ai più recenti esempi di poesia narrativa e talora ironica, maturati anche a contatto con i soggiorni incantati sulla costa tunisina, nel bagliore improvviso e provvisorio delle apparizioni della bellezza. Sarà l’occasione anche per riconoscere l’inconfondibile voce del poeta Naldini che, rispetto al rigore filologico e al tormento ideologico del cugino Pier Paolo, ha trovato la sua autonomia in accenti personali di appassionata e fisica adesione al “miraggio” della felicità.

Ma alla bellezza non si dia
la caccia frontalmente,
meglio guardarla di sbieco
e sia essa a inquadrarsi nell’occhio
insinuando in ogni gesto casuale
un’insperata intimità.
La delusione è imminente?
Ma è con essa che si preparano
nuove effervescenze.
(da Piccolo romanzo maghrebino, 1997-2002)

E se proprio sono instradato
nell’ultimo tratto di strada
vorrei riascoltare
le voci dei cortili
al precipitare della sera
nell’aria viva
di erbe e focolari accesi
fra campi estesi oltre l’orizzonte
di altri focolari ed erbe.
Qui la vita ha dipinto
per me la bellezza
con qualche appagamento
perché il mal d’amore
fosse una striscia
lunga quanto la vita
attorcigliata attorno al cuore.
(da I confini del paradiso, 2003-2004)

La copertina del libro di Nico Naldini

Un commento

All’inizio, si collocano i primi esperimenti poetici in friulano (come la prosa lirica del Boscùt, apparsa sullo “Stroligut” del 1944; le liriche di Seris par un frut del 1948; i testi di Un vint smarìt e zentil del 1948-54, poi confluiti con altri in La curva di San Floreano del 1988), che risentono del gusto post-simbolista ed ermetico, nella ricerca di intime connessioni tra suono e cosa e di un lirismo trasognato ed estenuato. Ma via via, dopo una parentesi fitta di racconti in prosa sulle vite di tanti artisti-poeti congeniali (Leopardi, Comisso, Parise, De Pisis, Penna e naturalmente Pasolini), oltre che di sé, la poesia di Naldini spicca il volo, specie dagli anni ’80, recuperando un gusto realistico-narrativo di classico nitore già in nuce negli esordi giovanili, ma ora dispiegato e capace di ritagliare dalle cose e dal paesaggio immagini limpide, come manifestazioni quasi impercettibili della bellezza e fenomeni transeunti della grazia, miracolosa ed emozionante. Un momento di svolta è dato, nel ’97, da Meglio gli antichi castighi, significativo esempio di poesia narrativa sciolta dai vincoli della metrica e stesa con linguaggio colloquiale, che talora, mescolato a leggere divagazioni in prosa, si colora di spirito sapienziale.
Vi è depositato un autobiografismo lirico, ricco di sfaccettature e riverberi emotivi, poi prolungato nelle due opere successive, Piccolo romanzo maghrebino del 2002 e I confini del paradiso del 2006. Si compone così una sorta di ideale trittico, percorso dal ricorrere di temi nuovi intrecciati a quelli antichi: il presagio a contrappunto della vecchiaia disincantata e della solitudine popolata di assenze e di ricordi; il fascino dell’Africa e in particolare della costa tunisina, meta per Naldini di prolungati soggiorni e fonte di stupore per lo splendore dei paesaggi, la purezza atavica di civiltà innocenti, la fisica vitalità di bellissimi “ragazzi” splendenti di giovinezza.
Questo Terzo Mondo è già avviato all’invasione inquinante dei modelli occidentali, ma Naldini, a differenza di Pier Paolo, presto staccato dal suo mito africano, non rinuncia alla sua “casetta sul Mediterraneo”, elevata anzi a punto privilegiato per osservare sé e il mondo e coglierne l’essenza segreta. La quale, a conti fatti, consiste nel “miraggio” cui la nostra vita è soggetta, sempre ai confini di un paradiso mai raggiungibile, tra realtà e illusione, tra epifanie di grazia, delusione e minacce di sconforto. Così, secondo Zambon, a eco di questa concezione e di questa parola della bellezza sfuggente, o afferrabile solo per frammenti e “di sbieco” e perciò tanto più struggente, è il vento a dominare l’intera poesia di Naldini. Come una metafora insistita del capriccio gratuito e incontrollabile dell’esistere, illuminato a tratti e per poco dal dono della felicità (Angela Felice).

[info_box title=”Nico Naldini” image=”” animate=””]nato a Casarsa il 1^ marzo 1929, ha lavorato in numerosi campi, dal giornalismo all’editoria, al cinema e poesia. Nel corso della sua ricca ed articolata vita professionale ha soggiornato a lungo a Milano e Roma. Ora vive a Treviso. Fu il cugino Pasolini che nel 1948 pubblicò, attraverso l’Academiuta di lenga furlana, le prime poesie in dialetto di Naldini: Seris par un frut. Dieci anni dopo Scheiwiller ha pubblicato Un vento smarrito e gentile con testi in friulano, veneto e italiano. La sua attività editoriale ha iniziato ad espandersi notevolmente dal 1980, l’anno in cui egli ha editato, con Zanzotto, il volume Poesie e pagine ritrovate di Pasolini. Il 1982 è l’anno di La vita e le lettere di Giacomo Leopardi e il 1984 di Nei campi del Friuli (la giovinezza di Pasolini). Con Einaudi pubblica Vita di Giovanni Comisso, finalista del Premio Strega. Dopo l’uscita nel 1992 del lavoro Il solo fratello ( Archinto), nel 1995 ha pubblicato Il treno del buon appetito, Meglio gli antichi castighi (Guanda, 1997), Occasionalmente altro (1999), Houssem e le lucciole e Piccolo romanzo maghrebino (2002) e Mio cugino Pasolini (2000). Prosegue la sua carriera con Come non ci si difende dai ricordi (L’ Ancora del Mediterraneo, 2005) e I confini del paradiso (L’Ancora del Mediterraneo, 2006). Nel 2008 pubblica Il nobile Von. Lettere spedite a Francesco Zambon veneziano (Manni). Sua è la curatela degli inediti pasoliniani Un paese di temporali e di primule (1993) e Romàns (1994). Nel 2014 ha ripubblicato, con aggiornamenti, la biografia Pasolini, una vita (Tamellini ed.)[/info_box]