Wagenbach: “L’Italia corsara insegna l’umiltà alla Germania”

Wagenbach: “L’Italia corsara insegna l’umiltà alla Germania”

di Tonia Mastrobuoni
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Un catalogo da Pasolini a Bobbio alla Murgia: tra odi e amori l’editore berlinese ha fatto scoprire la nostra letteratura ai tedeschi

Sepolti gli economisti e i colleghi «idioti» che hanno sempre deriso le sue scelte, Klaus Wagenbach si avvia a festeggiare l’anno prossimo il cinquantenario della sua leggendaria casa editrice, sopravvissuta egregiamente a mille intemperie, finanche alle fusioni, incorporazioni e ai fallimenti dei rivali. Tanto è vero che tre anni fa l’amica Inge Feltrinelli lo ha definito ironicamente «un sopravvissuto».
Grande studioso di Kafka, raffinato scopritore di talenti, figura di riferimento della sinistra extraparlamentare degli Anni ’60 e ’70, Wagenbach è anche l’«editore vivente più pregiudicato della Germania», ride con voce cavernosa. Frequenti, negli anni difficili del terrorismo, in cui era uno dei pochi a pubblicare gli scritti della Raf, le perquisizioni e i processi. Classe 1930, il berlinese si autodefinisce da sempre «anarchico, edonista e cultore della Storia». Caratteristiche «essenziali, per un curatore tedesco di libri. Certo, se fossi italiano, preferirei un po’ più di ordine».
Esce in questi giorni una bella raccolta di scritti e memorie, La libertà dell’editore in cui Wagenbach rievoca l’inizio della sua passione per l’Italia, quando nel 1951 arrivò da studente di Storia dell’Arte in Alto Adige, «una regione istituita per assuefare un po’ alla volta i barbari nordici ai costumi italiani», girando in bicicletta e dormendo sul fieno. Da allora ha sviluppato una passione talmente grande per il nostro Paese da pubblicare in patria alcuni dei maggiori intellettuali degli ultimi decenni, da Pasolini a Bobbio, da Celati a Michela Murgia. Con Pasolini, in particolare, «fu amore a prima vista. Appena lessi gli Scritti corsari chiamai la Garzanti. Mi dissero che ero il sesto editore tedesco ad aver chiesto l’opzione sui diritti. Morale della favola: quando gli altri lessero quegli articoli, antiborghesi, anticattolici, anticomunisti, si ritirarono uno ad uno. E pubblicai quella meravigliosa testa pazza di Pasolini».
La prima edizione tedesca fu un successo clamoroso, ma «ci lavorai un anno intero, eliminando ridondanze e ripetizioni, adattandolo con una ricchissima postfazione ai lettori tedeschi, spiegando per esempio chi era Emma Bonino, all’epoca una semplice militante radicale… Naturalmente gli intellettuali tedeschi, che si sentivano gli unici depositari del pensiero dei loro connazionali Marx ed Engels, si offesero moltissimo. Improvvisamente c’era un oscuro regista e scrittore italiano che spiegava loro in modo straordinario il tramonto della cultura contadina. Erano scandalizzati e io pubblicai gli Scritti corsari con tutte quelle note proprio per punire la loro tracotanza».
Durante il suo girovagare degli inizi, a Wagenbach capitò di dormire a casa di una fornaia di Cortona che aveva appese in casa due gigantografie: una di Mussolini, l’altra di Stalin. E quando le vide lì, spudoratamente una accanto all’altra, il giovane studente di arte capì una cosa essenziale: «L’italiano è politicamente versatile». Wagenbach è uno dei rari tedeschi che non amano solo il sole, il vino, la cucina, l’arte e la Toscana (dove ha una casa, peraltro), ma anche la politica italiana. «Quando vidi quei due appesi al muro, e il figlio della fornaia, raggiante, che li chiamava i suoi «grandi amici», mi venne in mente un episodio narrato da Goethe nel Viaggio in Italia, quando era più o meno nella stessa zona. Mentre andava da Arezzo ad Assisi, un bolognese che era in carrozza con lui e che Goethe considerava un “vero rappresentante del popolo italiano”, disse che “non bisogna mai attaccare la propria testa ad un’idea sola; la testa ha bisogno di confusione”. E questa è una delle cose più affascinanti dell’Italia: la confusione».
Una confusione che regna sovrana anche ora. «Vede, tempo fa un mio amico toscano comunista ha visto che leggevo un libro di Beppe Grillo e mi ha detto “leggi quelle schifezze?”. Non pubblicherei mai un libro di Grillo, non mi interessa, ma è sbagliato trattarlo con disprezzo, o, come fanno in Germania, come un “clown”. Mi interessano molto, invece, i desideri del suo elettorato. Non sono mica degli idioti!».
Wagenbach si è anche dilettato con pubblicazioni un po’ atipiche. «Una volta mi sono messo a pensare: a un tedesco in fila al Brennero, cosa gli dai da leggere per due ore? E mi venne un’idea. Un libro che spiegasse le buone maniere in Italia. Come il fatto che quando entri in un ristorante, non ti siedi al tavolo ma aspetti che sia il cameriere a indicartelo». In quel libro famoso, Nach Italien («Verso l’Italia»), c’è anche uno strepitoso vademecum del gesticolare italiano. «Se prendi due italiani sulle sponde opposte di una strada trafficatissima, osserverai che sanno perfettamente comunicare tra di loro, a gesti. Cose come «ciao come stai, hai 5 minuti per un caffè?» o «quella trattoria laggiù è buonissima» o «ci sentiamo dopo al telefono, ti chiamo io». E io ho cercato di insegnarlo ai tedeschi. Noi cerchiamo costantemente filoni d’oro, nella confusione italiana. E a volte li troviamo».
Poi c’è il discorso del suo rapporto con i circoli degli intellettuali più famosi. Wagenbach è noto per essere stato vicino al Gruppo 63 italiano, ma anche per essersi letteralmente imbucato nel Gruppe 47 tedesco dal quale scaturirono alcuni dei maggiori talenti del dopoguerra come Alfred Andersch, Ingeborg Bachmann, Paul Celan o Günter Grass. Tra l’altro, sull’autore del Tamburo di latta Wagenbach racconta nelle memorie che negli Anni ’60 aveva raccolto molte chiacchierate con lui per una monografia che non scrisse mai. E in quegli appunti c’era l’ammissione chiara che Grass fosse stato nei carristi, insomma nella Wehrmacht. «E di certo – scrive – non si trattò di una dichiarazione che Grass fece soltanto privatamente a me (le interviste erano comunque destinate alla pubblicazione) (…) e quei sicofanti di oggi, evidentemente, non sono andati a verificare».
Tornando alla Gruppe 47, il primo dettaglio interessante è come fece a imbucarsi in un circolo che era notoriamente chiuso e funzionava rigorosamente a inviti. «Come ho fatto a imbucarmi? Semplice: un’arte sublime imparata in Italia! Poi, quando andai per la prima volta a una riunione del Gruppo 63 italiano, raccontai loro come funzionava il Gruppe 47. Dissi che stavano tutti zitti e che c’era uno con un campanaccio per le mucche che apriva la lettura. E dopo, l’autore del libro o della poesia doveva stare in silenzio ad ascoltare tutte le critiche. Gli italiani risero tutti a crepapelle e dissero “ma che idioti questi tedeschi, tutti zitti mentre li criticano!” Il fatto è che in Italia ognuno pretende di dire la propria posizione. Il problema è che le posizioni sono tante e il dibattito non nasce mai. Dopo che ognuno ha detto la sua, si va tutti a mangiare. Certo, per chi ascolta è molto interessante e democratico. Ma il problema è che sono pochi quelli che ascoltano».