Un ricordo di Dom Franzoni, l’ex abate ribelle caro a Pasolini

Sabato 15 luglio 2017, presso il Centro anziani del Parco Schuster di via Ostiense 182/G a Roma, si sono svolte le esequie di Dom Giovani Franzoni, l‘ex abate benedettino ribelle che fu ridotto allo stato laicale nel 1976 per le sue posizioni critiche a favore dell’aborto e del divorzio, e contro le collusioni tra il Vaticano e i poteri forti. Fu una figura cara anche a Pasolini, che, recensendo il libro di Dom Franzoni Omelie a San Paolo fuori le mura (Mondadori, 1974), nell’articolo Le cose divine uscito su “Tempo” del 22 novembre 1974 (poi in Scritti corsari), così scriveva: «Non c’è predica di Dom Franzoni, che, prendendo convenzionalmente il pretesto o dal Vangelo o dalle Lettere di San Paolo, non arrivi, implacabile, ad attaccare il potere nel suo ultimo immancabile delitto: in tutte le parti del mondo (è la prima volta  che, così, la Chiesa si presenta in concreto come universale). Non c’è predica in cui Dom Franzoni non assuma un problema attuale, non per elevarlo o prenderlo ad esempio: ma per risolverlo, o almeno porsi il problema della sua soluzione.
Ora, tutto ciò, se detto o fatto da un laico, è quasi normale: sia pure nell’ambito di una
élite culturale e politica. Detto e fatto da un prete, invece, è quasi commovente. Non mi è capitato poche volte leggendo queste prediche di dover dominare un’eccitata commozione. […] Ora un uomo come Dom Franzoni è stato sospeso dall’autorità vaticana a divinis. Tanto meglio. Resta però da chiedersi se per caso in Vaticano non si sia completamente dimenticato in che consistano le “cose divine”, e se i vescovi che al Sinodo si dichiarano progressisti non siano degli ipocriti, quando l’unico modo di essere progressista, per un prete, è evidentemente esserlo in modo estremistico (ossia cristiano) come Giovanni Franzoni». [P.P.Pasolini, Le cose divine, in Scritti corsari, in Saggi sulla politica e sulla società, a cura di W. Siti e S. De Laude, “Meridiani” Mondadori, Milano, 1999, pp. 534-535].
Sulla figura di Dom Franzoni, pubblichiamo due ritratti usciti su “Repubblica” del 13 luglio e su “Riforma” del 14 luglio, a firma rispettivamente di Paolo Rodari e di Gian Mario Gillio.

Muore dom Franzoni, l’ex abate delle Comunità di base che votava Pci
di Paolo Rodari

www.repubblica.it – 13 luglio 2017

Se ne è andato in silenzio, come ha vissuto l’ultima parte della sua vita. Ai margini di una Chiesa che per anni l’ha emarginato, tenuto in disparte. Giovanni Franzoni, classe 1928, ex abate benedettino della basilica di San Paolo fuori le mura a Roma, è morto oggi [13 luglio 2017, ndr.] nella sua casa di Canneto (Rieti), dove viveva da tempo.
Fino al 1973 era abate nullius, cioè non dipendente da nessun vescovo ma solo dal Papa, alla basilica di San Paolo Fuori le Mura a Roma. Teologo ascoltato da Paolo VI, il più giovane italiano al Concilio Vaticano II. Poi l’estromissione, arrivata dopo la denuncia delle collusioni fra Chiesa e poteri forti, la presa di posizione a favore del divorzio, la dichiarazione di voto per il Pci. Le sue omelie erano come fuoco, a favore della Chiesa dei poveri e contro il capitalismo. Allora era una voce che non si poteva ignorare.
Dom Giovanni Franzoni (“dom”, dal latino dominus, è predicato d’onore attribuito ai monaci benedettini), ha vissuto da prete ridotto allo stato laicale ma non scomunicato, fra i primi animatori delle Comunità di base che cercano di cambiare le strutture della Chiesa senza una bandiera che connoti il loro status di credenti. La sua Comunità ha sede a Roma in un locale spoglio ma dignitoso di via Ostiense. Tavoli di legno attorno ai quali ancora Franzoni, con discrezione, fino all’ultimo ha concelebrato messa con gli amici. Fra loro anche alcuni sacerdoti: spezzavano il pane recitando l’anafora assieme. «Un cattolico marginale», si definì lui stesso nell’Autobiografia pubblicata da Rubbettino, defilato e, per anni, dimenticato dalle gerarchie. Anche se, due anni fa, un segno per lui fausto arrivò: alla presentazione del suo libro in Campidoglio intervenne, a sorpresa, anche Matteo Maria Zuppi, allora vescovo ausiliare di Roma, oggi arcivescovo di Bologna.
In una intervista a “Repubblica” raccontò di come avvennero le sue dimissioni da abate di San Paolo, lo strappo con le gerarchie che lo portò a fondare la Comunità di base in una fabbrica dismessa dell’Ostiense dopo le prese di posizioni sul divorzio e aborto: «In Vaticano mi denigravano. Dicevano che mi ero venduto al Pci. Una domenica in basilica un giovane pregò perché suo figlio potesse crescere in una Chiesa dove non si fa speculazione finanziaria come aveva da poco fatto, con tanto di deplorazione pubblica da parte dell’Associazione Bancaria Internazionale, lo Ior. Paul Mayer, a quel tempo segretario dei Religiosi, reagì. Mi disse che visto che ero così “democratico” dovevo accettare le sue condizioni: sottoporre ogni atto pubblico al parere dei superiori. Presi tempo. In una riunione della Comunità si alzò Vincenzo Meale. Disse che dovevo obbedire perché altrimenti sarei stato l’unico a pagare. Però, spiegò, “è certo che se accetta le censura, la mia esperienza con la Comunità finisce qui”. Fu un lampo, un’illuminazione appunto. Risposi: “Ho capito”. E il lunedì seguente dissi a Mayer che volevo dimettermi. E così ebbe inizio la mia nudità». Prego? «Spogliato di ogni sicurezza, mi trovai fuori dall’apparato ecclesiastico. Certo, non ero ancora sospeso a divinis. Fu dopo che dovetti lasciare l’abito».
Dopo il Concilio la Chiesa aveva aperto al rinnovamento. Franzoni la pungolava, deciso a tornare sui testi biblici per recuperare la figura storica di Gesù e il suo autentico messaggio. Fu Pier Paolo Pasolini a scrivere di lui: «Non c’è predica di Dom Franzoni, che, prendendo convenzionalmente il pretesto o dal Vangelo o dalle Lettere di San Paolo, non arrivi, implicabile, ad attaccare il potere». Ben altro dicevano Oltretevere. Un giorno in Basilica gli mandarono l’abate Tonini, dei monaci Silvestrini. Disse ai monaci che vivevano con lui che il Papa piangeva per causa sua. In pochi gli rimasero amici. Fra questi il cardinale Pellegrino. All’inizio del ‘74 Franzoni aveva già lasciato la Basilica e abitava in un appartamentino di via Ostiense. Pellegrino andò a trovarlo, e alla domanda su perché fosse a Roma rispose: «Non ho niente da fare qui, sono venuto solo per chiederti scusa per come ti abbiamo trattato».
Fu sempre nel ‘74 che “Il Tempo” esultò così alla notizia delle sue dimissioni: L’abate rosso si è messo da parte: speriamo che stia tranquillo. Ma fermo non stava. Girava l’Italia per il referendum sul divorzio. Il cardinale Poletti, vicario del Papa a Roma, gli disse di cercarsi una diocesi in cui incardinarsi. Lui trovò Frascati. Poletti gli disse che era troppo vicina a Roma. «C’è un chilometraggio minimo, vostra Eminenza?», gli chiese Franzoni. Nessuna distanza era sufficiente. Così l’ex abate aprì una sua Comunità di base, senza attendere il placet di nessuno. Poletti preparò una lettera per chiedere spiegazioni. La recapitò presso la “sedicente Comunità cattolica di base”. Fu l’unico appellativo, sedicente, che l’istituzione riuscirà a darle in tanti anni.
La riduzione allo stato laicale avvenne il 4 agosto 1976. I motivi furono che Franzoni si era detto favorevole all’aborto «perché se esiste deve essere regolamentato», e aveva dichiarato la propria adesione al Pci. Quando arrivò la lettera, Franzoni era a Nusco, in provincia di Avellino. Disse: «Andai in trattoria con i ragazzi. A metà del pranzo mi si bloccò lo stomaco, la gola. Non riuscii a deglutire nulla. Per oltre due anni ho fatto fatica a inghiottire cibo asciutto».
Da quel giorno Franzoni ha fatto una sua strada. Nessuno, entro le mura leonine, gli ha mai mandato un segnale. Anche per la messa celebrata da Ratzinger nel 2012 con i padri conciliari nessuno si è ricordato d’invitarlo. Il cattolico marginale si è eclissato sempre più ai margini. Fino alla morte.

Dom Giovanni Franzoni negli anni Sessanta
Dom Giovanni Franzoni negli anni Sessanta

L’ultimo saluto a Franzoni, Maestro del dialogo
 di Gian Mario Gillio

http://riforma.it – 14 luglio 2017

«A nome degli evangelici italiani e mio personale – ricorda attraverso l’agenzia stampa Nev il presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei), il pastore Luca Maria Negro – desidero esprimere alla Comunità di San Paolo e a tutto il movimento delle Comunità cristiane di base i nostri sentimenti di simpatia cristiana per la scomparsa di Giovanni Franzoni. Giovanni è stato una figura profetica, un grande testimone non solo della stagione conciliare (come abate di San Paolo a Roma è stato il più giovane dei “padri conciliari” nelle ultime due sessioni del Vaticano II), del rinnovamento della teologia cattolica e dell’impegno dei cristiani nella società, ma anche dell’ecumenismo, soprattutto attraverso la rivista ecumenica “Com Nuovi Tempi” (oggi mensile “Confronti”), nata nel 1974 dalla fusione del settimanale di area cattolica “Com” con l’evangelico “Nuovi Tempi”; un progetto ecumenico, questo, che la Fcei ha sempre sostenuto con convinzione. Personalmente ho avuto per anni il privilegio di lavorare al suo fianco nella redazione di “Com Nuovi Tempi”, e ho imparato molto dalla sua cultura (teologica e non solo), dalla sua creatività, dal suo senso della giustizia e dalla sua profonda umanità».
Giovanni (Mario) Franzoni è mancato all’età di 88 anni nella sua casa di Canneto (Rieti) dove viveva da tempo, la sua vita l’ha dedicata al prossimo e alla solidarietà. Così le sue battaglie «politiche» per la ricerca della verità e della giustizia, sempre all’insegna della sua fede cristiana.
Dom Franzoni, ordinato sacerdote nel 1955, fu costretto ad abbandonare (sospeso a divinis) il clero nel 1976 per aver dichiarato il proprio appoggio al Pci. Prima di allora era stato padre conciliare come abate della Basilica di San Paolo fuori le mura di Roma. Poi, negli anni Settanta, furono noti l’appoggio alle lotte operaie e le azioni sociali nate per contrastare ogni forma di guerra, ingiustizie e disuguaglianze. Passioni civili che divennero per Franzoni una missione imprescindibile. Lo faceva attraverso prediche e comizi tenuti ovunque e dove poteva, nella «sua» chiesa che poi sorse non lontano dalla sua Abbazia: la Comunità di base di San Paolo sull’Ostiense, sia nelle piazze, nelle fabbriche e nelle comunità sparse in Italia.
Una comunità, quella di base di San Paolo, che si è sempre spesa per la difesa dei beni comuni, per l’emancipazione del ruolo femminile, muovendosi nella speranza che la chiesa cattolica, un giorno, potesse essere riformata e vivere nella piena comunione ecumenica e interreligiosa, scevra da sovrastrutture e impedimenti teologici, per Franzoni ovviamente superabili.
«Un uomo che ha precorso i tempi – così lo ricorda Mirella Manocchio, presidente dell’Opera per le chiese metodiste evangeliche in Italia (Opcemi) –, lottando per battaglie storiche nel nostro paese, in nome di una fede che ha testimoniato con forza, rinvigorendo anche quella di chi ha camminato con lui. Un esempio di cristiano – prosegue Manocchio –, di fratello, che mancherà enormemente non solo all’interno delle chiese, ma anche nella vita pubblica. Da giovane padre conciliare, ebbe la lungimiranza di dedicarsi alle battaglie per i diritti di tutti, che ancora oggi sono all’ordine  del giorno. Solo che Giovanni le iniziò decenni prima e con parole che potremmo definire profetiche».
Franzoni è sempre stato “un anticonformista” e lo dimostrava spesso, esprimendosi con forza su temi etici e bioetici, sociali e soprattutto teologici, riflettendo sul significato e con tanto pragmatismo sulle cose terrene e spirituali: l’eutanasia, le cose divine, la Salvaguardia del Creato.
«Ho conosciuto e collaborato con Dom Franzoni a metà degli anni Settanta, quando aveva fatto scelte difficili e in tempi difficili – ricorda il moderatore della Tavola valdese, il pastore Eugenio Bernardini – e precorrendo idee e proposte che oggi fanno parte del programma del pontificato di papa Francesco. É stato uno dei protagonisti di quella fase ecumenica, tra protestanti e cattolici del dissenso, che consentì l’esperienza giornalistica di fusione tra le riviste “Nuovi tempi, di area protestante e “Com, di area cattolica, facendo nascere prima “Com Nuovi Tempi e poi “Confronti, che ancora oggi continua il suo impegno nel dialogo ecumenico e interreligioso».

Pier Paolo Pasolini
Pier Paolo Pasolini

Giovanni era un istrione e “volava alto”. Un intellettuale e un raffinato teologo, e di lui Pier Paolo Pasolini diceva: «Non c’è [sua] predica che […] non arrivi, implacabile, ad attaccare il potere». «Prediche», quelle di Giovanni, conservate nei cuori delle persone della sua comunità e per tutti noi, nella innumerevole pubblicistica e produzione libraria, che oggi sono e restano la sua eredità.
«C’è chi si affanna, in questo periodo, a trovare nella chiesa cattolica romana cambiamenti e aperture – scrive Franzoni nello spazio della sua rubrica, oggi l’ultima riflessione, pubblicata nel numero di luglio/agosto di “Confronti” dove ha raccontato un suo recente incontro in Piemonte, condiviso negli intenti e nelle riflessioni, con monsignor Bettazzi, un dialogo intercorso tra gli ultimi due testimoni conciliari –, che, dopo i pontificati soffocanti di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, si manifestano in più regioni e diocesi, in conseguenza del Concilio vaticano II. Il tutto, in un governo di papa Francesco volutamente innovativo ma chiaramente ostacolato da resistenze conservatrici. La novità  ci è parso  sia questa: la chiesa cattolica non è una piramide nella quale la ricerca di fede è pilotata da un vertice monarchico, ma, in questa Ekklesìa, prevale (dovrebbe prevalere) l’ascolto della Parola, sottratta ai compromessi con i poteri del modo secolare».
Franzoni, nel suo intimo, era anche quel «Giobbe» (l’ultimo giusto che l’Antico Testamento mette alla prova, e con lui la sua fede) al quale decise di dedicare un libro, uscito per “Com Nuovi tempi” nel 1997, Giobbe, l’ultima tentazione, che nel 2007 divenne un Cd audio (auspichiamo, dato il valore dell’opera, che possa essere ristampato): un’elaborazione aggiornata, con la voce narrante di Franzoni accompagnato da musiche eseguite in modo originale da musicisti professionisti di Roma, tra le quali emerge Suzanne, di Leonard Cohen, da Franzoni fortemente voluta. Un lavoro discografico e intellettuale che Franzoni ha eseguito con passione e un forte afflato spirituale; una sorta di testamento che vive ancora oggi nella sua nuda voce. Franzoni, proprio come Giobbe, non ha avuto una vita facile, ma la sua tenacia e la sua comunità non lo hanno mai lasciato solo. Messo a dura prova dalla vita, dalla sua amata chiesa che lo ha confinato «al margine» per le sue idee e le sue iniziative dirompenti, decise di titolare la rubrica su “Confronti”: Note dal margine. Note, appunti, che oggi sono musiche e riassumono, come può farlo solo un’opera sinfonica, l’eredità di un grande uomo, di un fratello, di un amico, di un Maestro.
Buon viaggio Giovanni.