Prosegue la personale romana di Mario Dondero, fotografo-poeta in forma di rosa

Proseguirà fino al 22 marzo 2015 alle Terme di Diocleziano di Roma la straordinaria antologica degli scatti di Mario Dondero, leggendario fotoreporter che ha immortalato i momenti, i luoghi e i personaggi  più significativi del secolo breve: da Parigi all’Africa, dalle assemblee del ’68 alle case degli scrittori, come quella di Pasolini che lo ritrae, in una celeberrima istantanea, insieme alla madre Susanna. Sono 250 immagini, selezionate e ordinate da Nunzio Giustozzi e Laura Strappa, che documentano non solo frammenti di storia, ma anche la grande umanità di Mario, alla cui simpatia e leggerezza nessuno, praticamente, ha potuto sottrarsi.
Sulla personale romana, un ispirato commento di Elena Del Drago.

 di Elena Del Drago
www.lastampa.it – 9 febbraio 2015

È una piccola serie di immagini a catapultarci nella fotografia di Mario Dondero, nel suo modo immediato, umanissimo di viverla, e segna, non a caso, l’inizio del percorso espositivo alle Terme di Diocleziano. Si tratta di una dichiarazione d’amore e di poetica insieme. Siamo nel 2006, quando Mario Dondero decide di ripercorrere la storia dietro una delle più celebri fotografie del secolo scorso: la Morte di un miliziano che Robert Capa scattò, settant’anni prima, durante la Guerra Civile Spagnola. E’ l’immagine del conflitto per antonomasia, con quel soldato dalle braccia allargate, morente, appena colpito da una pallottola, su una collina non distante da Cordoba. È proprio con questa istantanea che Capa è diventato il più celebre dei fotoreporter, il più empatico dei fotografi, un esempio da seguire per Dondero, che ha voluto rendergli omaggio portandoci ancora in quei luoghi, a scoprire l’identità di quel miliziano noto soltanto per la tragicità della sua morte. Vediamo i nipoti mostrare un suo ritratto e poi lo riconosciamo nei vestiti della festa a spasso con la fidanzata. Scopriamo insomma la normalità dell’esistenza prima della trasformazione in un’icona tragica e, insieme, un modo preciso di intendere il mestiere di fotografo, fatto proprio da Dondero anche attraverso l’esempio di Capa. La Storia degli eventi e quella degli individui passa attraverso immagini semplici, che siano capaci di raccontare più delle parole e di calare chi guarda dentro la situazione osservata.

Impegno etico
È proprio ciò che avviene con le 250 fotografie ordinate da Nunzio Giustozzi e Laura Strappa per questa personale romana, che spazia dai reportage ai ritratti e ci racconta istanti e personaggi del secolo dietro di noi. Immagini apparentemente eterogenee, scattate a distanza di decenni, lontane come possono esserlo i protagonisti parigini della Nouvelle Vague e una famiglia antifascista in Emilia, i rifugiati di un villaggio palestinese e le donne sensuali dell’avanspettacolo. Eppure ogni scatto è accomunato dall’impegno etico di chi sente il desiderio e il dovere di mostrare a tutti la normalità della vita e la sua eccezionalità, il divertimento e la tragedia, di chi crede nella possibilità progressista del cambiamento anche attraverso l’immagine. Con questo spirito entriamo nelle classi delle scuole italiane, siamo negli anni Sessanta, e ritroviamo un tempo preciso nei vestiti, nello stile, e dinamiche invece fuori dal tempo, nell’imbarazzo dell’alunna in piedi e nella complicità dell’insegnante accanto a lei. Oppure ripercorriamo l’atmosfera elettrica del 1968 francese: fotografie in cui a prevalere è visivamente la dimensione collettiva, l’atteggiamento di chi è convinto di dover procedere fianco a fianco.
Lavoratori, soprattutto uomini, riuniti in gruppi che guardano tutti in una direzione, mai verso l’obiettivo. Ci sono immagini di un mondo ancora riconoscibile, altre troppo note per non essere riconosciute e altre che ci portano dentro lavori e modalità che appartengono davvero ad un altro tempo. C’è il «diffusore dell’Unità» per esempio, che consegna le copie del quotidiano in bicicletta nonostante la neve tutto intorno o la lettura familiare in una cascina, momento di incontro di varie generazioni; c’è chi va a scuola sopra un trattore o attraversando campi e campi coltivati, e chi, tante donne, aspetta in fila alla posta con il fazzoletto annodato in testa. Ma non troviamo solo il nostro paese, o l’amata Parigi, presto l’obiettivo di Dondero si apre al mondo, con la stessa voglia «politica» di osservare: sarà in Guinea Bissau durante la lotta contro il colonialismo portoghese o nei campi di detenzioni più disumani, ma anche capace di scovare la partita di calcio tra dilettanti nel sud del Brasile o il lento e triste tornare a casa della Regina del Carnevale dopo la baldoria, a Bahia. Si sente sempre il desiderio di raccontare la realtà, di testimoniare, di un fotografo per giunta che si è formato nell’atmosfera intellettuale del dopoguerra, quando si voleva allontanare l’ipocrisia mediatica del regime fascista con la convinzione che indagare portasse con sé una società differente.

Pier Paolo Pasolini e la madre Susanna. Foto di Mario Dondero
Pier Paolo Pasolini e la madre Susanna (primi anni Sessanta). Foto di Mario Dondero

Immediata complicità
A colpire è anche l’immediata complicità, la partecipazione epidermica alla condizione, per quanto distante, vissuta da chi si trova dall’altra parte dell’obiettivo. Una caratteristica fondamentale anche quando Dondero vuole ritrarre artisti e intellettuali: anche in questo caso la scelta è quella di provare a comprendere cosa si nasconde dietro a opere, pittoriche o letterarie, particolarmente amate. Una scelta sentimentale che spiega, forse, la straordinaria forza di immagini come quelle, familiari, che ritraggono Pier Paolo Pasolini con sua madre Susanna, appena fuori fuoco dietro alle sue spalle, o il poeta Edoardo Sanguineti a Genova con i due figli che soffiano verso di lui bolle di sapone. E poi ancora, Primo Levi in un ritratto notissimo, lo sguardo corrucciato dietro gli occhiali, oppure Elsa Morante circondata da amici in una serata romana. E poi gli artisti visivi, anche quelli notoriamente diffidenti come Francis Bacon. Mario Dondero lo ritrae nel suo studio londinese circondato da telai, piegato in ginocchio su una distesa di fogli spiegazzati e altri oggetti non meglio identificati. Non è stato facile: notoriamente insofferente alla categoria dei giornalisti, Bacon aveva per ben tre volte ignorato gli appuntamenti, ma poi, dopo un incontro casuale, non aveva potuto che cedere alla straordinaria simpatia del fotografo e alla comune passione per il salame italiano.