PPP in bicicletta nell’estate del 1940, di Enzo Lavagnini

Dall’ultimo numero online dei “Diari di Cine Club” (luglio 2015) riprendiamo un articolo del regista e scrittore Enzo Lavagnini, che ricostruisce un avventuroso e poco noto episodio del giovane Pasolini: un epico tragitto in bicicletta che, nell’estate 1940, lo portò in pochi giorni da Bologna a Venezia, in compagnia dell’amico Ermes Parini, e poi, da solo, dalla città lagunare a San Vito di Cadore e infine a Casarsa. Un grazie al direttore Angelo Tantaro per la gentile autorizzazione alla pubblicazione di questa vivace testimonianza su una impresa a due ruote che profuma di vitalità giovanile.

Pasolini: una lunga pedalata verso l’estate
di Enzo Lavagnini

www.cineclubromafedic.it –luglio 2015

La strada è bianca, dritta e senza fine; l’orizzonte è solo una piastra afosa, fatta del colo di una pianura immensa. I pedali pigiati come stantuffi. La bicicletta viene spinta in avanti: è pesante come fosse di sasso.  “Quando arriva Venezia?”. “ Pedala, pigrone!”. La fatica non spegne le risate genuine dei due ragazzi. Lacrime di sudore gocciolano sugli occhi. Panni bagnati. Incrociano qualche rara vettura. Col sole tagliente tutto si confonde: la terra smossa dalle ruote poi lascia una piccola traccia fumosa del loro passaggio.
E’ una strana estate quella del 1940. Tutto è già cambiato, l’Italia è in guerra, eppure tutto sembra esattamente come sempre al suo posto: quei campi coltivati, i pochi contadini che li salutano, un ponticello, una fontana a cui rifocillarsi e riempire le borracce, i borghi rurali che attraversano.
Terminati gli esami universitari, il diciottenne Pier Paolo Pasolini è partito in bicicletta da Bologna per raggiungere Venezia. E’ insieme all’amico Ermes Parini (detto Paria) e la destinazione è una visita alla Biennale d’arte. Poi, da solo, Pier Paolo – e sempre in bicicletta – arriverà a San Vito di Cadore e in seguito fino a Casarsa. In tutto Pasolini compirà in bicicletta un giro di oltre 400 chilometri. Di questa piccola “avventura” muscolare egli scrive: “Ad ogni modo una cosa bella da essere confusa con un sogno, l’ho avuta: il viaggio da San Vito a qui, in bicicletta (130 KM): esso appartiene a quel genere di avvenimenti che non possono essere raccontati senza l’aiuto della voce e dell’espressione. L’alba, le Dolomiti, il freddo, gli uomini coi visi gialli, le case e i sagrati estranei, l’accento estraneo, le cime e le valli nebbiose irraggiate dall’aurora”( lettera all’amico Franco Farolfi, agosto 1940).
Paria ogni tanto perde coraggio, Pier Paolo lo sprona. Ai curiosi occhi dei due giovani pedalatori, alimentati ad arte e letteratura, tutto appare splendido, sorprendente, poetico. Ogni immagine è una nuova suggestione. Tutto è incluso in una cornice sinfonica che racconta di un paese che l’estate sta asciugando dall’umidità invernale, di una passione giovanile per l’esplorazione, della forza dei muscoli. Hanno passato il Po e subito dopo cittadine come Adria, Cavarzere, Piove di Sacco, per poi cominciare a sentire l’odore salmastro della laguna. Pedalando e pedalando sono passati così dall’operosa Bologna all’incanto di Venezia. La visita alla Biennale è il naturale e necessario approfondimento degli studi (Pier Paolo studia con passione Arte all’Università, con Roberto Longhi), anche se le astensioni “politiche” della Francia, dell’Inghilterra, della Danimarca e della Russia menomano alquanto la rassegna, nella quale resiste il retorico concorso per affreschi e bassorilievi ispirato ai temi del “Duce ed il Popolo”, “dello Squadrismo”, della “Marcia su Roma”, dell’ ”Impero”, e dove comunque, tra la varia paccottiglia di regime, si possono osservare opere significative di Carlo Carrà, Gino Severini, Felice Casorati.

Un'immagine giovanile di Pasolini
Un’immagine giovanile di Pasolini

Pier Paolo, ad appena diciassette anni, avendo affrontato, per merito, la maturità un anno prima, si è iscritto all’Università di Bologna. I compagni preferiti delle sue letture sono stati i poeti provenzali e tutto l’ermetismo italiano, a cominciare da Ungaretti. Ha anche preso parte assiduamente alla vita di un cineclub dove ha visto tutto René Clair, il primo Renoir e qualche film di Chaplin. Ha fatto, e fa, anche molto sport, il calcio ma anche la pallacanestro e il ciclismo. D’inverno va a sciare. L’estate la passa come sempre a Casarsa. Quando l’amico Paria lo lascerà solo a pedalare, per Pier Paolo il proseguimento del viaggio diverrà “simbolico”, a posteriori: andrà – stavolta da solo, con la sola forza dei suoi garretti – dalla città natale, Bologna, al paese della madre, la patria d’elezione scelta qualche anno dopo: Casarsa. Una lunga pedalata da Bologna verso Venezia e poi verso le vacanze estive a San Vito di Cadore dove raggiungerà i suoi. Ultima tappa da San Vito a Casarsa, dove i Pasolini trascorrono d’abitudine tutta l’estate.
Grosso modo la “grande pedalata” di Pasolini dovette avere questa articolazione. Prima tappa, Bologna -Venezia (135 chilometri), Pier Paolo ed Ermes – con pernottamento a Venezia presso qualche struttura universitaria. Permanenza a Venezia un solo giorno, o due. Seconda tappa, Venezia-San Vito di Cadore (140 chilometri), con arrivo presso la casa di vacanza affittata dai Pasolini. Pier Paolo è in viaggio da solo per questo tratto. Permanenza di più settimane. Terza tappa, San Vito di Cadore-Casarsa (130 chilometri), dove Pier Paolo si ferma per tutto il resto dell’estate.
La bicicletta, più che il calcio, era non solo e non proprio uno sport, per lui come per tanti altri. Era uno “sport” magari per i campioni del ciclismo, che esaltavano le folle, ma a Bologna o in Friuli, o addirittura, più avanti, nella poco adatta Roma dei sette colli, per Pasolini ed i suoi amici era soprattutto un mezzo di trasporto, di esplorazione, di indipendenza e di socialità. In bicicletta aveva conosciuto i quartieri di Bologna e i dintorni della città (anche non proprio prossimi, come Parma, per andare ad incontrare l’amico Franco Farolfi che da poco si era trasferito lì); inoltre a Casarsa (dopo la guerra) in sella della bici percorrerà chilometri e chilometri per recarsi ad insegnare; a Roma, ancora più avanti negli anni, andrà addirittura dalla lontana Rebibbia, dove abitava, fino ai Parioli, e perfino con un’amica da portare sulla canna, per andare al salotto letterario di Maria Bellonci; oppure dalla casetta di via Tagliere, proprio accanto al carcere romano di Rebibbia, arriverà fino alle rive dell’Aniene, dove i ragazzetti di borgata prendono il bagno.
Una volta arrivato a Casarsa per le vacanze estive del 1940, per quanto ci rivela Nico Naldini nella sua biografia, Pasolini legge appassionatamente Hölderlin, Strindberg, Montale, le traduzioni di lirici greci di Quasimodo. Sempre con la bicicletta, a Casarsa, passa, nell’ambito di pochi chilometri, da una sacca linguistica ad un’altra e compiere così i suoi importanti e rivelatori approcci al friulano. In campagna, coi campi raggiunti ancora una volta in bicicletta, con un cavalletto da pittore e i colori passa molti pomeriggi a dipingere. Scrive a Franco Farolfi inviandogli copie delle poesie che sta scrivendo. Il tutto sempre con una inesauribile energia, con curiosità e con la bicicletta come sorta di “compagna di studio”. Un allenamento atletico alla vita e all’estetica.
A fine estate 1940, tornerà a Bologna coi suoi per riprendere gli studi universitari. E’ stata una strana estate: l’estate in cui è finita davvero ogni innocenza. Il paese cambiato lo travolgerà in poco tempo; in una lettera a Luciano Serra del febbraio 1944 scriverà: “Non so se ci rivedremo; tutto puzza di morte, di fine, di fucilazione. […] La guerra puzza di merda”.

Pasolini nelle borgate romane
Pasolini nelle borgate romane