PPP e i poeti italiani ispirano il rock d’autore. Un saggio di Giulio C. Pantalei

I grandi della letteratura italiana ispirano il rock: ecco dunque, tra tanti esempi,  i versi pasoliniani per Patti Smith, mentre gli Arcade Fire citano Il nome della rosa di Umberto  Eco. È l’originale conclusione cui giunge il giovane italianista, e  ricercatore a Oxford,  Giulio Carlo Pantalei che di recente per Arcana ha pubblicato il saggio Poesia in forma di rock. Un titolo che ovviamente ricalca quello, bellissimo, della raccolta poetica di Pasolini Poesia in forma di rosa, edita nel 1964.

Bob Dylan canta Dante: quando la letteratura ispira il rock
di Luca Mastrantonio

www.corriere.it – 27 settembre 2016

Ma Dante era rock? E Pasolini? Sì, due pietre che non hanno mai smesso di rotolare su corde e tastiere. Rock come Marinetti, Sanguineti e persino Calvino ed Eco, scrittori non proprio viscerali. Chi lo dice? Bob Dylan, Patti Smith, Morrissey, Tom Yorke e compagnia cantante che ha tradotto, omaggiato, rivisitato versi e vario materiale di alcuni protagonisti della letteratura italiana, in particolare della poesia. Lo racconta in Poesia in forma di rock (Arcana, prefazione di Carlo e Paolo Verdone) Giulio Carlo Pantalei, nato Roma nel 1990, laureato in italianista, borsista di ricerca a Oxford (oltre alla passione per la musica, da studioso e musicista, con il gruppo Panta). Già dal titolo, una cover della raccolta Poesia in forma di rosa di Pasolini, il libro svela le influenze della letteratura italiana sulla musica pop-rock angloamericana. In alcuni casi i tributi sono dichiarati, in altri superficiali, quasi accidentali, in altri ancora profondi, intimi, sibillini, tali da trasformare un blues in un giallo letterario. Il volume è una originalissima play list (tutta da integrare) dove chi seleziona Bob Dylan — pseudonimo di Robert Allen Zimmerman, ispirato a Thomas Dylan — si trova ad ascoltare Dante. Più che un libro, un juke box letterario.

Prendiamo l’irrequieta Tangled Up in Blue (da Blood on the tracks, 1975), dove la donna porge a Dylan un libro di versi scritto da un poeta italiano del tredicesimo secolo. Chi è? Cavalcanti, Petrarca o Dante? Più avanti è Dylan stesso a suggerire la risposta, cantando che «ognuna di quelle parole risuonava vera / e risplendeva come carbone ardente», strizzando l’occhiolino a «Caron dimonio, con occhi di bragia», cioè di brace, che nella traduzione inglese citata da Pantalei è come nella canzone, «burning coal». La lettura dantesca di Dylan è confermata da Bono Vox, ammiratore e compagno di palco del bardo di Duluth: «Ogni parola scritta da Dante era indirizzata alla sua musa, a Beatrice, e c’è una Beatrice nella maggior parte delle canzoni di Dylan».
Tra gli assidui frequentatori del mondo dantesco anche Thom Yorke, la cui compagna Rachel Owen, pittrice d’avanguardia, ha fatto un PhD a Firenze sulle illustrazioni della Commedia, influenzando il leader dei Radiohead. Fu la biblioteca pubblica di Aberdeen, invece, a far scoprire Dante a Kurt Cobain, che viene ipnotizzato anche dall’aspetto visivo dell’Inferno, al di là delle citazioni o suggestioni testuali. Ne serbano tracce visibili le t-shirt del tour dell’album d’esordio Bleach (1989) e la copertina di Nevermind (1991), dove Cobain realizzò un collage con le pubblicità di bistecche di manzo prese da un supermercato, a formare un infernale imbuto capovolto. Il videoclip di Heart-Shaped Box (da In utero, 1993) riprende infine la «selva dei suicidi».
Dopo Dante, l’autore italiano più ricorrente nei testi analizzati da Pantalei è Pier Paolo Pasolini, poeta e regista di grande ispirazione per Patti Smith e Morrissey, anima degli Smiths, paroliere raffinato pratico di Shakespeare, Wilde, Virginia Woolf e, appunto, Pasolini, cui dedicherà l’album Ringleader of the tormentors (2006), in particolare You Have Killed Me, ballata elettrica dall’inconfondibile timbro malinconico, che dopo un gioco di calchi letterari svela il transfert: «Pasolini is me / Accattone you’ll be».
Tra le sorprese, Umberto Eco, citato in perfetto stile post-moderno dagli Arcade Fire. Nel brano che dà il titolo all’album Neon Bible (2006), calco dell’omonimo romanzo di John Kennedy Toole, c’è un riferimento alla sezione conclusiva de Il nome della rosa, quando viene risolto l’enigma dei religiosi assassinati con il veleno assunto portandosi alle labbra le dita inumidite per girare le pagine della proibita opera aristotelica sull’umorismo: «Take the poison of your age / don’t lick your finger when you turn the page». Ossia: «Prendi il veleno della tua epoca / non leccarti le dita quando giri pagina».

*Foto in copertina: © Roberto Villa, Patti Smith a Versutta (Casarsa).