Poeti a più facce di pessimismo: Pasolini e il bosniaco Izet Sarajlic

La città di Salerno è particolarmente legata alla memoria del grande poeta bosniaco Izet Sarajlic, che fu amico personale di Alfonso Gatto e presidente onorario della locale “Casa della Poesia”, attiva anche a Sarajevo. Le tragiche vicende della sua vita, sullo sfondo della distruzione della Jugoslavia e delle feroce guerra di Bosnia che ne seguì, lo portarono a un desolato senso di smarrimento e di pessimismo sulle sorti dell’umanità. Una posizione senza speranza, che, secondo Pasquale De Cristofaro, lo accomuna per molti versi  all’ultimo Pasolini, doloroso analista della deriva del mondo occidentale. 

Se Pasolini ricorda Sarajlic
di Pasquale De Cristofaro

www.lacittadisalerno.it – 19 dicembre 2017

Per Pasolini gli anni Sessanta e Settanta erano diventati, a causa dello spietato sviluppo capitalistico, un lager, un universo orrendo, un mondo che aveva messo definitivamente al bando “la pietà”. L’uomo, disancorato dalle sue radici, dai suoi miti e dai suoi sogni, era precipitato inerme nelle spire di uno sfrenato consumismo, che lo aveva abbrutito orribilmente e risucchiato, senza lasciargli alcuno scampo, in un macabro gioco al massacro, in una “irreale realtà” capace di snaturarne la più profonda umanità.
Una lettura, la sua, priva di speranza, apocalittica, di un profondo pessimismo che gli aveva provocato anche tanti nemici. Un pessimismo, però, comune a tanti altri intellettuali, il quale, dopo la speranza in una palingenesi, in una primavera che avrebbe riportato l’umanesimo al centro dell’attenzione del discorso pubblico, lo aveva piuttosto relegato ai margini, ritenendolo ormai una cosa sorpassata e senza più alcuna utilità per una società sempre più ubriaca, euforica e incantata da uno sviluppo capace di portare il “cielo in terra”.
Questo suo estremo senso di solitudine e smarrimento mi ha riportato alla mente il prezioso lascito di un grande poeta serbo-croato, Izet Sarajlic (cittadino onorario della città di Salerno e grande amico di Alfonso Gatto), che in quanto a pessimismo verso le sorti dell’umana società europea non gli è stato da meno, tutt’altro.

Erri De Luca e Izet Sarajlic
Erri De Luca e Izet Sarajlic

Un poeta estremo come solo i grandi poeti sanno essere, capace di farci guardare dentro senza alcuna compromissione e imponendo alla nostra distratta attenzione la disumanità del mondo contemporaneo. Un cantore efficacissimo dell’ultimo tragico e fratricida conflitto combattuto con spietata crudeltà sul suolo europeo e che ha visto smembrata la vecchia Iugoslavia. Quella sanguinosa guerra ha prodotto, insieme a migliaia e migliaia di morti, spaventose pulizie etniche, la distruzione di città capolavoro (Serajevo) e la fine d’ogni speranza per l’umanesimo europeo. Pensate, lui, che era nato nel 1930 ed è morto nel 2002, si considerava così estraneo alla nostra tarda modernità che dopo il ’99 contava gli anni aggiungendo un anno, due anni, al 1999 e mai considerando che, nel frattempo, si era entrati in un nuovo secolo e in un nuovo millennio (rifiutava di contarli come 2000 – 2001 ecc …). Un rifiuto di una storia che non può essere considerata la Storia. Un apparente rifiuto del futuro che voleva marcare una distanza netta da ciò che stava precipitando le nostre società e le nostre sfinite democrazie nel baratro profondo di una crisi senza più pietà ed empatia.
Anche Pasolini (certo, in altri anni) rifiutava quella storia e quello “sviluppo” di una società […].  Concludendo, se l’andare avanti è inarrestabile, bene sarebbe per tutti noi continuare ad ascoltare le loro voci. «Scrivere una poesia / era la stessa cosa che piantare una betulla per un parco futuro / o / mettere un campanello ad una porta» (Addio a Slobodan Markovic,  da Libro degli addii di Izet Sarajlic).

"Qualcuno ha suonato" di Izet Sarajlic. Copertina
“Qualcuno ha suonato” di Izet Sarajlic. Copertina

Non abbiate fretta, ragazzi

Non abbiate fretta di fare i poeti, ragazzi.
Restate quanto più a lungo possibile nella fase prepoetica.
Essere poeti nella vita non è lo stesso che essere poeti in un racconto.
La poesia, sono le disfatte.

Alla fine, vi aspettano, forse, davvero le rose,
ma per molto tempo – a destra e a sinistra – ci sono le spine.
Per la fama non abbiate fretta, restate invece giovani quanto più a lungo,
e solo quando non ne potrete più, proprio allora nascerà la poesia.

1964
(da I. Sarajlic, Qualcuno ha suonato, Multimedia, 2001)
[info_box title=”Izet Sarajlic” image=”” animate=””]soprannominato Kiko, nato nel 1930  a Doboj (Bosnia settentrionale) da famiglia musulmana, si trasferisce nel 1945 a Sarajevo, dove consegue la laurea in lettere alla facoltà di filosofia della locale università. Fondatore nel 1954 del “Gruppo 54”, movimento d’innovazione poetica, ed uno fra gli organizzatori delle “Giornate poetiche di Sarajevo” nel decennio successivo, è stato un rinomato e pluripremiato scrittore jugoslavo, conosciuto anche nei paesi dell’allora Patto di Varsavia e spesso invitato come personalità culturale nella stessa Mosca. Durante la guerra in Bosnia (successiva allo scioglimento della Jugoslavia) e l’assedio di Sarajevo perse le due sorelle (Nina e Raza), e fu una delle pochissime personalità a voler rimanere nella città a cui era molto legato e  che apprezzava principalmente per il carattere laico e multietnico. Subito dopo la fine degli eventi bellici perderà la moglie (cattolica e figlia di un ortodosso). Nel 1997 fu spinto verso Salerno per via dei legami di amicizia avuti con Alfonso Gatto, e successivamente intrecciò una collaborazione con la “Casa della Poesia” di Baronissi (SA), della quale fu nominato presidente onorario. L’ultimo premio (il “Moravia”) lo riceverà in Italia  nel 2001 per la raccolta Qualcuno ha suonato (Multimedia). Il 2 maggio 2002 a Sarajevo, successivamente ad un’intervista concessa ad un’emittente televisiva polacca, fu trovato morto dalla figlia per infarto. È sepolto nel cimitero della capitale bosniaca. Dal 2002 Casa della Poesia organizza a suo nome un festival internazionale di poesia nella capitale bosniaca. Poeta membro del “Circolo 99” di Sarajevo, ha lottato per il mantenimento di quella cultura laica della pluralità e della convivenza, che è l’eredità storica della Bosnia-Erzegovina. [Fonte Wikipedia][/info_box]