Per Massimo Cannevacci, Pasolini pioniere del cinema “antropologico”

Oggi, in un mondo sempre più tecnologico, nel quale il digitale sembra avere la meglio rispetto alle antiche tradizioni culturali, che ruolo ha l’antropologo? Può ancora questa figura capire i popoli per cercare di comprendere le usanze e i costumi dei padri del pianeta? La risposta è sì, secondo Massimo Canevacci, docente di antropologia culturale presso la Sapienza di Roma e massmediologo di riconosciuta fama. Lo studioso ha partecipato a Imperia il 24 novembre 2017 alla settima edizione della rassegna di incontri filosofici dal titolo Stare al mondo, organizzati già a partire dal 27 ottobre 2017 dall’associazione Michele De Tommaso, e ha portato in esame due suoi testi divulgativi. Il primo libro, dal titolo La linea di polvere, studia la rappresentazione di un funerale dei Bororo, popolazione indigena presente nell’area centrale del Mato Grosso, in Brasile. Il secondo, dal titolo Antropologia della comunicazione visuale, spiega come le immagini e i film possano spiegare meglio il mondo che ci circonda.
In un’intervista che pubblichiamo Francesco Basso ha raccolto alcune riflessioni dello studioso, che dà atto anche a Pasolini di una pionieristica sensibilità antropologica, attenta al ruolo di verità della rappresentazione per immagini.

Pasolini, Cronenberg, Lynch e il cinema “antropologico”
di  Francesco Basso

www.ilsecoloxix.it – 26 novembre 2017

«Grazie al cinema noi possiamo capire la realtà che ci circonda – spiega il docente di antropologia culturale Massimo Canevacci – il mostrare le cose attraverso una videocamera, filmare se stessi, produrre immagini di cosa ci sta accadendo attorno, sono tutti elementi che erano stati previsti in gran parte da una pellicola uscita negli anni ’80. Sto parlando di Videodrome di David Cronenberg, film chiave per capire a cosa potrebbe andare incontro l’uomo moderno, tra derive e complicazioni tecnologiche. Uno dei punti di congiunzione tra il popolo indigeno e quello occidentale, al giorno d’oggi, è il loro grado di rappresentazione. Entrambi si filmano e si auto-celebrano». 

"Medea" (1969) di Pier Paolo Pasolini
“Medea” (1969) di Pier Paolo Pasolini

Allora dove è andato a finire il confine marcato tra l’antico e il moderno?
Altri due registi a me cari, che sono una sorta di antropologi moderni, sono Pier Paolo Pasolini e David Lynch – aggiunge Canevacci -.  Pasolini con il suo Medea descrive pienamente il passaggio doloroso dalla società arcaica a quella moderna; invece Lynch, con il suo Twin Peaks, descrive i sogni dell’uomo moderno che lentamente si impossessano della realtà e la manipolano a proprio piacimento.  

Cos’è veramente reale adesso? La storia o la sua rappresentazione?
Quando anni fa partecipai a un funerale Bororo, oltre al lato sacrale e mitico della funzione, fui sorpreso dal grado di auto-rappresentazione degli indigeni. Filmavano, documentavano quello che facevano, in modo minuzioso, esemplare. Da qui le mie riflessioni.

Cosa vuol dire essere antropologi al giorno d’oggi?
Vuol dire capire l’uomo, documentando la sua vita. E per capire l’uomo bisogna addentrarsi nel suo mondo fatto di specchi, di schermi, di cinema. Ecco quindi che il cinema è di grande aiuto perché esso è rappresentazione artistica, poetica, e l’arte, si sa, aiuta a spiegare e comprendere meglio il mondo. Perché l’arte, in un mondo che potrebbe apparirci talvolta irreale, è un grado estremo di verità e comprensione.