Pasolini, Zanzotto e tanti altri: i grandi scrittori del Nord-Est, di Davide Brullo

«Riflettono su tradizione, Dio e il mistero della vita. Troppo profondi per piacere ai salotti di Roma e Milano». Non senza qualche frecciata polemica, il giornalista e scrittore Davide Brullo traccia una mappa di fermo immagini sulla grande letteratura del Nord-est italiano, specie del secondo dopoguerra, fitta di nomi e testi mirabili che, Pasolini a parte, sembrano snobbati dai gangli del grande potere culturale. Ma, insinua Brullo, è forse lì il senso di una testimonianza letteraria eccentrica, non consumabile e perciò destinata a durata ben oltre le mode effimere del momento.

Fuori moda perché eterni: i grandi autori del Nord-Est
di Davide Brullo

www.ilgiornale.it – 4 dicembre 2016

Fermo immagine, quarant’anni fa. «Caro Andrea…». Federico Fellini ha appena finito di girare il suo Casanova. Ha bisogno della ciliegina lirica sul film. «Avrei pensato a una filastrocca costruita con i materiali fonetici e linguistici del linguaggio petèl che tu hai riscoperto».
Andrea Zanzotto, il poeta di Pieve di Soligo, provincia di Treviso, sfila il Filò, poema pieno di audacie linguistiche ed erotiche, «Toco de banda, toco de gnòca, mona ciavona, cula cagona» (la traduzione è vietata ai non veneti e ai minori).
Secondo fermo immagine. Sessant’anni fa. Un titanico Fellini istruisce Pier Paolo Pasolini. Pasolini ha 34 anni e insieme a Flaiano e a Pinelli è lo sceneggiatore de Le notti di Cabiria. Quando arriverà il suo turno alla regia, con Accattone, nel 1961, Fellini, però, si defila, terrorizzato, non lo vuole produrre. Pasolini fa da sé. E subirà il linciaggio della censura. Due anni dopo, Pasolini è al fianco di David Maria Turoldo, il frate e poeta nato 100 anni fa, autore de Gli ultimi, un film sulla vita, arcaica e astrale, dei contadini friulani.

David Maria Turoldo sul set de "Gli ultimi"
David Maria Turoldo sul set de “Gli ultimi”

Eccolo, il punto. Pasolini, rivelato alla letteratura con le Poesie a Casarsa, nel 1942, in dialetto friulano, Turoldo e Zanzotto sono tre poeti del cosiddetto Nord-Est. Vengono dall’Italia del dio capitalista, dei nuovi negrieri, che ha sostituito le basiliche con i capannoni e con le aziende alienanti, che ha alienato la poesia in favore della gretta, grassa, oliata ignoranza. Un pregiudizio grosso così, ma che ha fatto la fama di romanzieri come Massimo Carlotto (padovano) e Fulvio Ervas (veneto), autori di noir francamente modesti, o di Romolo Bugaro (padovano), che in Effetto domino (Einaudi, 2015) inscena il Nord-Est dei ricchi violenti e molesti, che alla Cappella degli Scrovegni preferiscono una escort e di notte non vedono le pecorelle ma un gregge di dollari.
Il terzo fermo immagine è più recente. 1990, Giancarlo Giannini abbraccia la telecamera. Di fianco a lui, con il cappello bianco, Mario Monicelli. Entrambi seri, presi da una angoscia misteriosa. L’unica che ride è Emmanuelle Seigner, la moglie di Roman Polanski, magnetica, in vestito bianco. Fotografia dal set de Il male oscuro, il capolavoro di Giuseppe Berto da Mogliano Veneto, pubblicato nel 1964, che segna la nascita dell’esistenzialismo grave (ed esteticamente superbo) del Nord-Est; peraltro, è noto che l’esistenza letteraria di Berto è tutelata dai capolavori, dal primo, Il cielo è rosso, edito settant’anni fa, idolatrato da Hemingway e tramutato in film, nel 1950, da Claudio Gori, all’ultimo libro, La gloria, del 1978, lacerata e tenerissima narrazione evangelica secondo Giuda. Insomma, pur silenziato dal conformismo della critica romana, è il Nord-Est degli scrittori industriosi a cambiare l’immaginario narrativo e cinematografico del Paese, come mezzo millennio fa fecero Tiziano Vecellio, Giorgione e Giovanni Bellini (morto 500 anni esatti fa). La lista degli autori decisivi è lunga: da Luigi Meneghello a Mario Rigoni Stern, da Dino Buzzati a Emilio Salgari, che trapiantò Verona a Mompracem, fino agli scrittori di oggi, Tiziano Scarpa, Giulio Mozzi, Andrea Molesini e Vitaliano Trevisan.
Ma gli scrittori più interessanti, paradosso ormai consueto, sono quelli che nessuno, criticamente, si fila più. Guido Piovene, ad esempio, vicentino, ormai defunto nei «Meridiani» Mondadori, autore di un libro decisivo ed eccentrico, che fa genere a sé, come Lettere di una novizia (del 1941, anch’esso ha avuto una trasmutazione filmica, nel 1960, trattato da Alberto Lattuada con Pascale Petit nella parte di Rita), ma anche di romanzi difformi, difficili, abbaglianti e ormai introvabili come Le Furie e Le stelle fredde (con lo spettro di Dostoevskij che indaga su un omicidio in un Nord-Est trafitto di ossessioni). O Ferdinando Camon, per dire, cresciuto nella campagna di Padova, pubblicato in Francia perché piaceva a Sartre e amatissimo da Raymond Carver, che dichiarò Un altare per la madre (ristampato quest’anno da Garzanti) «una sublime opera d’arte». Oppure Giorgio Saviane, nato 100 anni fa a Castelfranco Veneto, poi celebre avvocato a Firenze, alieno alle combriccole dei letterati («ai club intellettuali preferiva le scalate sulle Dolomiti», ricorda la moglie, custode dei suoi scritti, Alessandra Del Campana), «ai margini delle correnti, delle scuole, delle mode» (Carlo Salinari), che ha vinto tutti i premi del Paese (dal Campiello al Bancarella), è stato pubblicato da Rizzoli, Rusconi, Mondadori e perfino tradotto in film (e che film: Eutanasia di un amore, 1978, firma Enrico Maria Salerno, con Ornella Muti e Monica Guerritore). Ora, letteralmente, non lo pubblica più nessuno, non è bastata l’antologia di testi Mio Dio edita da Guaraldi nel 2014 per attizzare l’interesse nel vasto pubblico. Eppure, The Young Pope di Paolo Sorrentino scopiazza, cinquant’anni dopo, l’intuizione di Saviane che nel 1963, con Il papa (premio Campiello e finalista allo Strega) creò per primo, da «una posizione scomoda, macerata da inquietudini» (Raffaele Nigro), la figura di un Santo Padre tramortito dai dubbi.

Carlo Sgorlon
Carlo Sgorlon

Per non parlare di Enzo Bettiza, che viene dall’Est del Nord-Est, da Spalato, autore di romanzi (il ciclo I fantasmi di Mosca ed Esilio) troppo belli, tanto che in tanti si ostinano a ignorarli e a considerare il loro autore un giornalista e stop. La letteratura di quel Nord-Est italiano che pare Oriente e Siberia ed è corrotto dal pregiudizio, è compressa tra il «sereno/ meravigliato del niente» («un seren/ maravehiào del ninte») di Biagio Marin (da Grado) e l’epigrafe, glaciale, di Umberto Saba (da Trieste), «parlavo vivo a un popolo di morti». D’altronde Carlo Sgorlon, friulano, scrittore epico e tonante di libri come Gli dei torneranno, L’armata dei fiumi perduti e La conchiglia di Anataj, da citare ogni volta che si parla di letteratura buona, aveva già capito tutto, era il 1998: «Ho scritto più di trenta libri ne ho pubblicali venticinque, ho all’attivo molto più di mille articoli e decine di saggi. Ma forse un giorno sarò ricordato soltanto come inventore della parola Nord-Est, e tutto il resto sarà caduto dentro il pozzo di un silenzio totale». Essere uno scrittore del Nord-Est è un marchio d’infamia, perciò di gloria.

[info_box title=”Davide Brullo” image=”” animate=””](1979), giornalista e scrittore, è docente di Letteratura italiana presso la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici (SSML) della Fondazione Universitaria San Pellegrino. Laureato in Storia del Cristianesimo antico presso l’Università Statale di Milano, ha pubblicato una traduzione da alcuni libri dell’Antico Testamento (Scanni, Raffelli, Rimini 2003), un volume di scrittura in versi (Annali, Atelier Edizioni, Borgomanero – NO – 2004) e nel 2014, per i tipi di Guaraldi, il romanzo Rinuncio.[/info_box]