“Ogni volta che vado a Ostia”, impressioni di viaggio di Claudio Rampini

“Ogni volta che vado a Ostia”

impressioni di viaggio di Claudio Rampini

 

Sul filo del disincanto e dello smarrimento, tra echi di un passato che non parla più e il rumore di uno svuotato presente, tra l’ombra del martirio del grande assente PPP e il mistero antico di una Nostra Signora dei gatti. Un racconto amaro e visionario di Claudio Rampini, storico collaboratore di Angela Molteni, liutaio, musicista, che gentilmente ne concede la pubblicazione.

 

Essere morti o essere vivi è la stessa cosa
Essere morti o essere vivi è la stessa cosa

5 settembre 2014

 Ogni volta che vado a Ostia non posso fare a meno di pensare a PPP, e più vedo cose brutte, come il traffico congestionato sulla via del mare e il paesaggio deturpato dalla fame insaziabile dei palazzinari, più penso a lui.

Siamo in quattro: io, Letizia, Hannelore e il suo barboncino color champagne Prema. Letizia sta dietro, Hannelore e il cane sono accanto a me che sto guidando. Hannelore guarda il paesaggio e mi guida con occhio esperto, ha sempre abitato da quelle parti, quindi conosce benissimo tutto, avvicinandoci a via Ponte Ladrone mi dice che una volta lì c’erano tutti i prati. Non faccio fatica ad immaginare quell’antico paesaggio, e per antico intendo il ricordo seppellito dalla prepotenza dei vivi, il fattore temporale è solo un elemento giustificativo. Diventa antico tutto ciò che non si può più comprendere, a beneficio di chi comprenderà basandosi solo sui frammenti.

Le forme compiute sembrano decisamente noiose.

A dire il vero non sono tranquillo, accuso un vago malessere e, guardando il ciglio della strada sormontato da un cartellone pubblicitario, scelgo un posto adatto a fermarmi, casomai mi dovesse prendere un coccolone. Bello sarebbe morire sulla strada del mare, ma qui intorno è tutto così brutto e mi persuado che quando si muore il luogo è scelto a caso, raramente si ha il privilegio di una progettualità.

Diranno “è morto sulla strada per Ostia”, tra una villetta abusiva e i rifiuti sparsi sul ciglio della strada. Hannelore deve aver percepito qualcosa di questi pensieri, perché inizia a parlare della presenza degli angeli e mi cita un libro che non ricordo, in cui se ne parla in modo diffuso, quasi scientifico.

Tutti noi abbiamo un angelo custode. Il discorso mi interessa e sorrido. Dice che, quando il giorno del nostro compleanno il nostro angelo custode ci chiede qualcosa, forse siamo noi che possiamo chiedere qualcosa a lui. Ascolto un po’ distrattamente, sono un po’ annoiato e non troppo disposto ad ascoltare storie di angeli, però la convinzione di Hannelore è autentica, se una persona di 81 anni ne parla con passione non può essere tutta una favola assurda.

Guardo il paesaggio e la lunga strada che porta a Casal Bernocchi, penso subito a Pasolini e mi rattristo. Per questo motivo e per i disastri ambientali, guardo a Ostia sempre con tristezza e con un senso di smarrimento.

Chiedo ad Hannelore se l’intervento salvifico degli angeli custodi riguardi anche quelle persone che hanno il cuore malvagio, anche loro hanno un angelo inspiegabilmente buono che li protegge?

Lei mi risponde con spontaneità e mi fa capire che se ti rivolgi ad un angelo custode quello è un momento in cui non puoi essere cattivo. Poi parliamo di carte degli angeli dei tarocchi e via così fino a superare l’ingorgo di auto che si è formato sulla strada. Affrontare le difficoltà a cuor leggero, ecco anche un’altra funzione degli angeli.

Arriviamo in via Ponte Ladrone e ci fermiamo vicino ad una scuola, laddove è presente una delle colonie feline di cui Hannelore è l’angelo custode, lei scende, prende la busta degli alimenti per gatti e vedo che qualcuno di quelli la riconosce e le va incontro molto fiducioso.

Hannelore è piegata in due, ricurva come un giunco in mezzo alla corrente, ci parla delle sue difficoltà e Letizia con premura l’aiuta a sistemare il carrello in cui tiene tutte le sue cose. Le dico che l’ho trovata dimagrita dall’ultima volta, lei mi dice che in estate perde sempre un po’ di peso, però si aiuta con il miele biologico che riesce a trovare a otto euro al chilo.

L’anziana signora si nutre solo di dolci, non ha più un dente in bocca e Letizia dice che è come le farfalle, che si nutrono dello zucchero della frutta. A vederla in effetti è proprio una farfalla, così magra e con le ossa lunghe, i vestiti leggeri e un lungo foulard di colore rosa che sventola leggero sul suo petto, come due ali e in mezzo un volto delicato e luminoso bianco e rosa.

La riaccompagniamo a casa, lei ci ringrazia per averle fatto risparmiare un sacco di strada a piedi, le chiedo scherzosamente se vuole venire a mangiare una pizza, lei sorride e dice che quelle cose non le può mangiare e che sicuramente troveremo un bel posticino sulla strada dove io e Letizia potremo passare la serata.

La salutiamo e vediamo lei e il carrello sparire dietro il cancello della sua casa, l’ultimo svolazzo rosa e ci ritroviamo soli nella campagna urbana ostiense, non sappiamo dove andare perché non conosciamo il posto. Decidiamo di andare verso Ostia antica, ma non abbiamo fortuna, la pizzeria è ancora chiusa per ferie.

A dire il vero il posto non ci piace troppo, è pieno di macchine e la confusione ci mette a disagio, comunque riusciamo a chiedere ad una signora se c’è una pizzeria nelle vicinanze e ci viene indicato un ristorante vicino all’ingresso dell’area archeologica.

Passiamo proprio davanti al castello di Giulio II, illuminato in modo un po’ scenografico secondo i rigorosi gusti monnezza della nostra epoca e mi viene in mente che forse è proprio questo “il bestione papalino” che ha ispirato Pasolini in Una disperata vitalità, ormai morto perché non più compreso.

Si rinnova il sentimento di tristezza, a un tiro di schioppo da qui c’è via dell’Idroscalo, ci avviciniamo alla pizzeria e parcheggiamo, magari qui c’è venuto pure Pasolini qualche volta. E’ uno di quei ristoranti molto grandi, di quelli adatti per i matrimoni e con ampi saloni, il tutto rigorosamente in stile romano antico dei nostri giorni. La strada notturna illuminata dai lampioni quasi sommersa dagli aghi pino, e le piante alte che svettano al cielo solcato dagli aerei in atterraggio per Fiumicino.

Non ci sono più angeli custodi, siamo di fronte ad una pizza preparata senza passione, ma la cameriera è gentile e premurosa, il problema è il pizzaiolo tunisino che adombra un incerto accento romanesco, sedie di legno ampie e dure, una colonna antica sulla quale sono appese alcune finte lapidi che recitano proverbi e detti romaneschi.

Mi avevano già detto che la cultura romana popolare è intrisa di saggia tristezza, il buon umore non è mai gratuito, in giro non abbiamo visto nessun giovane, dicono che questi sono posti non troppo sicuri. Ripenso a quelli visti da Pasolini che sfrecciavano sui motorini, allegri, chiassosi e sporchi di unto e di grasso che rientravano a casa dopo il lavoro nelle officine.

Ora c’è un silenzio innaturale, il fatto che sia rotto dal continuo passaggio delle macchine e degli aerei non lo rende meno silenzioso e sento come una fitta l’impossibilità dei vivi di poter comunicare e di non poter più comprendere.

Un silenzio ancora più opprimente, pensando che in questi giorni stanno proiettando un film sulla tua vita e che porta il tuo nome, in cui compare il tuo amico di sempre, il cui sorriso sotto i capelli bianchi ha preso una piega amara.

Non sono servite le lezioni di fronte agli affreschi di Arezzo, non è servito l’essere amato, ed io guardo in direzione di quel luogo che fu l’ultima tappa del tuo martirio. Ora c’è il silenzio della notte e dei nostri cuori, impreparati testimoni di un Verbo assente a cui tenacemente siamo aggrappati, forse illusi di poter ripercorrere la tua grandezza e farla nostra. A chi interessa veramente il tuo Verbo?

Ma per onestà dovremmo ripercorrere anche la via del martirio, ma non siamo mai stati capaci di perderci perché smarriti dentro, e mai ritrovati. Eppure parliamo con sicurezza e con disinvoltura, formuliamo giudizi e ostentiamo sicurezza, ci difendiamo dietro la nostra fragilità, uno schermo che ci protegge e ci giustifica, non meno borghesi dei nostri padri, senza che il buon sangue abbia infine l’incerto coraggio della menzogna e della vergogna.

Ma gli altri, quelli che ti hanno voluto seguire e ti amano svisceratamente e conoscono a memoria ogni tuo verso, avresti mai immaginato una selva di proseliti così folta? Questi peccano allo stesso modo degli altri, o forse anche peggio, un mondo di cristiani ci basta.

Pensavi di aver raggiunto il fondo dello scandalo ed invece è stato solo l’inizio di un nuovo conformismo. E’ bastato uccidere l’amore per la vita ed esser compresi non ha più importanza.

Sulla via del ritorno le luci arancioni ci fanno corona, mi allontano dal luogo del supplizio e finalmente torno a respirare, ma tieni presente che non è per il luogo in se stesso, che ti vide in ginocchio, ma per come è cambiato.

Impossibile istanza di gestione del cambiamento e più non si riconosce quel che è, solo Nostra Signora dei gatti sa trovare risposte.

 [info_box title=” Claudio Rampini” image=”” animate=””]classe 1960, è da tempo uno collaboratore del blog di Angela Molteni e un sensibile conoscitore dell’opera pasoliniana, soprattutto poetica. Liutaio, ha il proprio laboratorio in Castel Madama (Roma) ed è membro della Violin Society of America e dell’Associazione Liutaria Italiana fino al 2006. Costruisce il primo violino nel 1985 ispirato dall’opera di Sacconi “I segreti di Stradivari”, successivamente approfondisce la conoscenza sacconiana attraverso i contatti con Charles Beare e Francesco Bissolotti, i quali gli forniranno suggerimenti ed indicazioni fondamentali per lo sviluppo futuro dello studio dedicato agli strumenti della classicità cremonese. Successivamente avviene l’incontro con Giobatta Morassi con il quale Rampini perfeziona il metodo costruttivo dei propri strumenti. Nel 1995, le indagini sui materiali e le antiche tecniche di verniciatura scaturiranno in un articolo apparso sulla nota rivista internazionale di liuteria “The Strad”, con il titolo “A new gloss on Strad’s varnish”, in cui si farà finalmente chiarezza su una nota lettera autografa di A. Stradivari dell’anno 1708, assieme ad un’approfondita disamina dei materiali usati in antichità. Al tempo stesso ha pubblicato articoli sulla rivista dell’Associazione Liutaria Italiana. Negli anni dal 1990 al 2000, la produzione di strumenti è praticamente limitata allo sviluppo di un solo modello: la forma classica stradivariana originata dalla forma interna riportante la sigla PG (museo stradivariano di Cremona), allo scopo di approfondirne ulteriormente lo studio e di trarne il massimo in termini di qualità di suono. Successivamente sviluppa un altro modello stradivariano ispirato al “Toscano” 1690, in cui vengono raggiunti livelli di assoluta qualità in termini di suono e suonabilità dello strumento. Dall’anno 2003 si è dedicato allo studio degli strumenti di Giuseppe Guarneri detto “del Gesù”, realizzando un primo modello di violino ispirato all”Alard del 1742, allo scopo di offrire al musicista, nell’ambito di un suono di alta qualità, una buona riserva di potenza con il quale affrontare con disinvoltura qualsiasi brano del repertorio violinistico. Rampini si è inoltre dedicato anche alla costruzione di viole e violoncelli, ottenendo unanimi consensi. Nell’anno 2004 ha fondato il sito internet “Il Portale del Violino”, nel cui forum pubblico vengono discusse in tempo reale tutte le tematiche riguardanti la liuteria e la musica.[/info_box]