L’ultimo dialogo tra Pasolini e Furio Colombo, di Roberto Carnero

di Roberto Carnero

www.ilpiccolo.it – 6 novembre 2014

Nel pomeriggio del giorno precedente la sua morte (avvenuta all’Idroscalo di Ostia nella notte tra l’1 e il 2 novembre 1975), Pier Paolo Pasolini riceve una visita. Si presenta nella sua casa romana il giornalista Furio Colombo, con il quale lo scrittore ha concordato un incontro: Pasolini non lo sa, ma quella sarà la sua ultima intervista. Furio Colombo rievocherà quel memorabile pomeriggio sabato mattina a Casarsa della Delizia (Pordenone), dove domani si apre l’annuale convegno del Centro Studi Pasolini, diretto da Angela Felice, che non si stanca mai di pensare preziose occasioni di approfondimento dell’opera pasoliniana. Tema di quest’anno: Pasolini e il politico. Tra i relatori che si avvicenderanno tra domani e sabato (giornata conclusiva dei lavori), oltre a quello di Colombo, troviamo i nomi di alcuni nei massimi studiosi dell’autore friulano: tra gli altri, Marco Antonio Bazzocchi, Angelo Fàvaro, Gerardo Guccini, Massimo Raffaeli, Pier Aldo Rovatti.

Furio Colombo, che cosa ricorderà sabato a Casarsa?
Ricorderò quell’intervista, che ormai fa parte non solo delle mie memorie personali, ma della biografia e del ricordo collettivo di Pasolini. Fu lui, al termine del nostro colloquio, a suggerirmi il titolo, un titolo profetico: “Perché siamo tutti in pericolo”. Ma svelerò anche che questa intervista in cui ci davamo del lei era costruita retoricamente su una sorta di finzione, quella giornalistica appunto, poiché conoscevo e frequentavo Pasolini da almeno 15 anni e ci davamo abitualmente del tu.

Come l’aveva conosciuto?
Me l’aveva presentato una carissima amica comune, Silvana Mauri, moglie di Ottiero Ottieri, al ritorno di uno dei miei periodi americani, quando lavoravo per la Olivetti. Da allora ci siamo frequentati parecchio, tutte le volte che ero in Italia, insieme ad Alberto Moravia, Dacia Maraini, Enzo Siciliano. Sono incontri di cui conservo ricordi vivissimi. Come ricordo certe estati al mare, prima a Fregene e poi a Sabaudia, dove Moravia aveva case di vacanza, quando Pasolini era l’ospite preferito da mia figlia, allora bambina: per la sua attenzione, dolcezza, delicatezza, con cui comunicava empaticamente anche con i più piccoli e i più semplici.

Da chi ricevette la notizia dell’assassinio?
Mi telefonò, la mattina del 2 novembre, Michelangelo Antonioni, che, soffrendo di insonnia e svegliandosi sempre molto presto, fu il primo ad apprenderla. Con Moravia ci precipitammo subito sul luogo, da dove scrissi le cronache per “La Stampa” di Torino. Eravamo tutti scioccati per quanto era accaduto.

Che idea si fece allora della dinamica dell’omicidio?
Parlai con uno dei baraccati che vivevano nei pressi del luogo del delitto, un uomo anziano, il quale mi disse con estrema sicurezza di aver udito distintamente, quella notte, diverse voci maschili. Probabilmente “gli ignoti” del concorso in omicidio con Pino Pelosi di cui parlerà la sentenza di primo grado. Poi però i colleghi delle altre testate che cercarono quel prezioso testimone nei giorni successivi non furono più in grado di individuarlo. C’è da dire che nei primi giorni e nelle prime settimane dopo il terribile fatto, nessuno di noi amici si preoccupava troppo delle indagini, dando tutti per scontato che gli inquirenti avrebbero fatto il proprio lavoro. Cercavamo piuttosto di elaborare il dolore e il trauma per quanto era successo.

E oggi che opinione ha? Regolamento di conti maturato nell’ambiente della malavita di borgata oppure esito di un complotto per mettere a tacere una voce scomoda?
Non saprei rispondere con certezza, la vicenda è e rimane indubbiamente controversa. Ciò che noto è il ripetersi, nella storia italiana degli ultimi decenni, di fatti tragici che sembrano destinati a rimanere per sempre avvolti nell’ombra. Il caso è ovviamente diverso, ma che dire di uno Stefano Cucchi, morto né per malattia né per suicidio né per omicidio, a stare alla sentenza del processo?.

Di Pasolini si parla sempre molto, se ne scrive, si fanno film su di lui. Ma quanto è viva la sua presenza nella cultura italiana?
Credo moltissimo. Quella di Pasolini è una presenza stabile e profonda. Nessuno scrittore o poeta venuto dopo di lui ha potuto prescindere dal confrontarsi con la sua lezione. Sul piano civile, poi, Pasolini ha segnato un punto di non ritorno: per la sua demistificazione della sacralità di certe istituzioni, dallo stato alla famiglia, e per la decostruzione dei luoghi comuni, come ad esempio la fiducia incondizionata nella bontà di un certo tipo di sviluppo, di cui invece lui ha saputo mostrare il lato oscuro.