Letteratura e sport. PPP e il calcio

Un  intervento sulla rete di Eduardo Barone sul rapporto tra la letteratura e lo sport riporta alla luce la passione di Pasolini per il calcio, praticato con forsennata passione fin dagli anni della gioventù bolognese e friulana. Oltre all’intervento di Barone, riportiamo qui anche un recente contributo sul tema firmato da Francesca Serafini per Pagina99, ripubblicato in www.minimaetmoralia.it il 18 giugno 2014.

 Grandi scrittori, atleti mancati

 di Eduardo Barone

 www.maidirecalcio.com – 16 novembre 2014

Si scrive grande scrittore, si legge atleta mancato . E’ questo il legame, se vogliamo anche consequenziale e logico, di molti grandi uomini che hanno fatto la storia della letteratura mondiale. Il loro rapporto con lo sport va oltre il semplice sfogo  di un puro praticante occasionale, ma penetra alle radici delle loro vite, talmente recondite da rappresentare virtù e sentimenti nella loro interezza. E forse alcuni di loro avrebbero pensato addirittura di cimentarsi a tempo pieno in questa passione chiamata sport, se non fosse accaduto un caso fortuito, un segno del destino, che cambiò le loro vite, portando i loro nomi nell’Olimpo immortale della letteratura.

PASOLINI – «Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l’unica rimastaci. Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro» (in Come non cominciare da un simbolo della letteratura nostrana? Pier Paolo Pasolini amava il calcio come spettacolo sublime e massima esaltazione della gioia di vivere. Il poliedrico genio bolognese giocava nel ruolo di ala destra e si divertiva a calcio nei campetti di quartiere. Prima in Friuli, sul campo della squadra locale di Casarsa, e poi in ogni luogo dove andasse. Forte fu anche il suo legame con la squadra dei suoi sogni, il mitico Bologna anni ’60 “che tremare il mondo fa”. E quando si pensa al Pasolini atleta non si può che ricordare queste sue parole:

I pomeriggi che ho passato a giocare a pallone sui Prati di Caprara (giocavo anche sei-sette ore di seguito, ininterrottamente: ala destra, allora, e i miei amici, qualche anno dopo, mi avrebbero chiamato lo “Stukas”: ricordo dolce bieco) sono stati indubbiamente i più belli della mia vita. Mi viene quasi un nodo alla gola, se ci penso. Allora, il Bologna era il Bologna più potente della sua storia: quello di Biavati e Sansone, di Reguzzoni e Andreolo (il re del campo), di Marchesi, di Fedullo e Pagotto. Non ho mai visto niente di più bello degli scambi tra Biavati e Sansone (Reguzzoni è stato un po’ ripreso da Pascutti). Che domeniche allo stadio Comunale!.

Pasolini in campo
Pasolini in campo

CAMUS – Giovane, imberbe e aitante, Albert Camus ha sempre rappresentato l’impronta più evidente del calcio nella letteratura e della letteratura nel calcio. “Tutto quello che so sulla moralità e sui doveri degli uomini, lo devo al calcio” la frase famosa che pronunciò una volta. Ma quella bella gioventù e quella forma fisica smagliante, che gli consentirono di giocare come portiere al suo sport preferito, vennero meno molto presto. A soli 18 anni Camus si  ammalò di tubercolosi e dovette smettere. Fu una grande delusione per lui non poter più indossare i guanti da portiere, ma il futuro gli riservò “l’onore” di scrivere i suoi sentimenti su una pagina, attività che ben presto lo rese celebre. E poi dal calcio apprese un insegnamento che, come dice lui stesso, gli servì molto: “Ho capito subito che la palla non arriva mai da dove te l’aspetti. Mi è servito più tardi nella vita, soprattutto a Parigi, dove non ci si può fidare di nessuno”.

FITZGERALD – Un altro atleta mancato è lo scrittore statunitense Francis Scott Fitzgerald, autore tra le tante opere anche de Il grande Gatsby. Fu un grande amante dello sport, in particolare del football americano, ma non disdegnò neanche il golf e il nuoto. I suoi sogni adolescenziali erano quelli di diventare un giocatore professionista di football, ma le vicissitudini capitategli sulla strada lo portarono a dedicarsi alla letteratura. Non per questo però abbandonò la sua passione sportiva. Ecco perché la raccolta Fuori dai giochi si fa carico di quest’impronta simboleggiante l’anima viva del Fitzgerald sportivo. Una poesia su tutte, chiamata guarda caso Football  rende esplicito questo forte legame:

 Now they’re ready, now they’re waiting,
Now he’s going to place the ball.
There, you hear the referee’s whistle,
As of old the baton’s fall.
See him crouching. Yes, he’s got it;
Now he’s off around the end.
Will the interference save him?
Will the charging line now bend?
Good he’free; no, see that halfback
Gaining up behind him slow.
Crash! they’re down; he threw him nicely,—
Classy tackle, hard and low.
Watch that line, now crouching waiting,
In their jerseys white and black;
Now they’re off and charging, making
Passage for the plunging back.
Buck your fiercest, run your fastest,
Let the straight arm do the rest.
Oh, they got him; never mind, though,
He could only do his best.
What is this? A new formation.
Look! their end acts like an ass.
See, he’s beckoning for assistance,
Maybe it’s a forward pass.
Yes, the ball is shot to fullback,
He, as calmly as you please,
Gets it, throws it to the end; he
Pulls the pigskin down with ease.
Now they’ve got him. No, they haven’t.
See him straight-arm all those fools.
Look, he’s clear. Oh, gee! don’t stumble.
Faster, faster, for the school.
There’s the goal, now right before you,
Ten yards, five yards, bless your name!
Oh! you Newman, 1911,
You know how to play the game.

GLI ALTRI – Dietro questi mostri sacri della letteratura ci sono tanti altri scrittori che hanno avuto un’incredibile passione per lo sport. Haruki Murakami, per esempio, è l’autore de L’arte di correre, il libro che ha reso noto al pubblico il suo grande amore: la corsa.”La maggior parte di quello che so dello scrivere l’ho imparato attraverso l’esercizio della corsa tutti i giorni” dice lo scrittore giapponese, parafrasando in parte Camus. Appassionata, insolitamente aggiungiamo noi, della boxe è invece la scrittrice statunitense Katherine Dunn, diventata la prima giornalista americana in assoluto a specializzarsi in questo sport. E poi, tornando al calcio, i nomi sarebbero troppi per essere citati brevemente, ma è impossibile non ricordare l’amore per il pallone scoccato in ritardo di Umberto Saba, quando un giorno accompagnò la figlia a vedere una partita della Triestina e rimase affascinato dal calore e dalla passione travolgente di questo sport.Insomma, molti grandi scrittori sono degli atleti mancati. Chissà cosa sarebbe successo se il corso degli eventi fosse andato diversamente. Tutto sommato però quello che è successo non ci dispiace. Sport nella letteratura, letteratura nello sport, un legame indissolubile.

Pasolini in campo. Alla sua sinistra  Mario Valdemarin
Pasolini in campo. Alla sua sinistra Mario Valdemarin

Letteratura e calcio

di Francesca Serafini

www.minimaetmoralia.it – 18 giugno 2014

“Raccogliere scritti sul calcio è un po’ come raccogliere conchiglie in riva al mare: ne trovi sempre, ogni mareggiata ne porta di nuove, e ciascuno se ne può sbalordire come fosse la prima volta”. Esordiva così Sandro Veronesi nella sua Prefazione a “Panta Calcio” (Bompiani, da qui in poi PaC), uscito alla vigilia dei Mondiali di Francia del 1998. A distanza di sedici anni, proprio quando ci prepariamo a barattare ore di sonno con le emozioni di un altro campionato a molti fusi orari da qui, la similitudine è tanto più valida perché ad arricchire il panorama di scritti calcistici di vario tipo che continuano a essere pubblicati su quotidiani, riviste o libri, ora ne circolano molti altri anche in rete, nei siti (come www.ultimouomo.com) o nei blog (come www.lacrimediborghetti.com) che sono sorti nel frattempo.Orientarsi non è semplice: soprattutto se si è in cerca di bellezza; dal momento che la suggestione del tema non basta in sé a rendere questo tipo di letteratura – usando il termine come si fa nel diritto o nella medicina, per esempio, per intendere l’insieme degli scritti di una data disciplina su un certo argomento – letteratura tout court. Tra molti dei testi sul calcio in circolazione e la Letteratura sul calcio, infatti, c’è un po’ la stessa differenza esistente tra la cronaca – per quanto dolorosa e coinvolgente nel ricordo della barbarie – del rapimento di Dori Ghezzi e di Fabrizio De André e ciò in cui l’ha trasformata il cantautore genovese nell’album a tutti noto come Indiano (1981). E quella differenza è l’arte, sempre affidata, proprio come in una partita di calcio, al gesto e all’intuizione dei fuoriclasse: alla loro formidabile tecnica (e da questo punto di vista, se pensiamo al lavoro di Gianni Brera sulla lingua, si capisce che il campione, quando c’è, è in grado di smarcarsi da ogni smania tassonomica: Brera è uno scrittore o un giornalista? De André, il cantautore che si diceva o un poeta?).A leggere le pagine sul calcio di Soriano, di Bolaño, di Marías, di Peace o – per guardare anche in casa nostra – di Pasolini (quello che una volta aveva assegnato ai suoi studenti il tema “Ringraziamento a Umberto Saba per le sue poesie sul calcio”), non c’è il rischio di incorrere in delusioni, sebbene scrivere di calcio sia difficile, come sottolineano due scrittori molto distanti tra loro. Da un lato Giovanni Arpino che, in una lettera indirizzata a Soriano (allora poco più che esordiente), durante la gestazione del romanzo Azzurro tenebra (Einaudi, 1977) – la storia tribolata dell’Italia ai Mondiali di Germania del 1974 – scrive: “È ambientato nel mondo del calcio, che in Italia (non solo in Italia, però) è molto complesso, acqua che scappa dalle mani”. E dall’altro lato, Enrique Vila-Matas, secondo cui – come ricorda Massimo Raffaeli nella raccolta mirabile La poetica del catenaccio (Italic, 2013) – “il calcio è una realtà autocentrata, un fenomeno auto-evidente”, e allora “raccontarlo non è più possibile”.
Eppure – si diceva – nonostante questa dichiarata difficoltà (o magari invece proprio in virtù della sfida che comporta), di calcio si continua a scrivere molto e in tanti modi diversi. C’è chi lo racconta in una dimensione privata, famigliare, che poi è il contesto in cui nella maggior parte dei casi si sviluppa questa passione: come Fernando Acitelli nelle poesie struggenti dedicate al padre in Epilogo in cielo(PaC). E c’è chi, come Carlo D’Amicis, offre due diverse declinazioni di questo tema. Da un lato un racconto di finzione in cui il calcio fa da sfondo a una storia più ampia, come fissazione del suo protagonista, nel Ferroviere e il golden gol (Transeuropa, 1998); e dall’altro lato il racconto di un eroe – come sempre vengono vissuti dai tifosi i loro campioni – in Ho visto un Re. Luciano Re Cecconi, l’eroe biancoazzurro che giocava alla morte ed è morto per gioco (Limina, 1999). Che poi è anche la variante più diffusa tra gli scritti di calcio, anche perché, come ci ha spiegato Eduardo Galeano in Gli abitati (in PaC, trad. E. Pintor): “Dentro alcuni atleti, abita una folla, una moltitudine di gente. E quando i discriminati, i disprezzati, i condannati al fallimento eterno si riconoscono nel successo di un eroe solitario, in questo trionfo pulsa, in qualche modo, la speranza collettiva”.
È questo il caso di uno degli eroi più fascinosi – il filosofo, il medico, la bandiera del Corinthians – a cui è dedicato il libro di Lorenzo Iervolino Un giorno triste così felice. Sócrates, viaggio nella vita di un rivoluzionario (66th and 2nd, 2014); e tanti altri sono i protagonisti di questa straordinaria epopea nell’ultimo libro di Giancarlo Liviano D’Arcangelo Gloria agli eroi del mondo di sogno. Il gioco del calcio. Racconto fantastico di un universo mitico (Il Saggiatore, 2014), che insieme mostrano la validità dell’idea di Vila-Matas del calcio come racconto in sé, forma di narrazione (e dunque – non bisogna avere paura a dirlo – di arte, quando i suoi interpreti sono quei campioni lì). Motivo per cui ogni tentativo di raccontarlo diventa immediatamente mise en abyme, operazione metanarrativa, che moltiplica a sua volta le possibilità di rimandi e di intermittenze.
Un gioco di specchi che, quando riesce, può determinare nel lettore-tifoso – in ogni appassionato di calcio e di letteratura insieme – lo stesso sconvolgente rimescolamento che determinano per esempio le pagine di Noa Noa (Passigli, 2000, trad. M. C. Marinelli) di Paul Gauguin, a leggerle sdraiati in riva al mare (lo stesso che porta le conchiglie di cui parlava Veronesi), quando si arriva al punto in cui – nella descrizione di Tahiti che si sporge sull’orizzonte da Morea – uno, avendo la fortuna di trovarsi proprio lì, alza gli occhi e la riconosce. Legge Tahiti e intanto la vede. Qualcosa di simile a quell’emozione, insomma, ma accessibile a tutti, perché a un costo infinitamente più contenuto rispetto a un viaggio in Polinesia, come quello di uno dei libri che hanno raccolto la sfida di Vila-Matias e sono riusciti a vincerla.

Commenti a “Letteratura e calcio”

Stolie scrive: 18 giugno 2014 alle 11:33
Sul rapporto antitetico intellettuale/sportivo consiglio L’angelo calciatore di Hans-Jørgen Nielsen, pubblicato da Giunti nel 1992.

 

Pasolini in un'azione di gioco
Pasolini in un’azione di gioco

 Citazioni
Le citazioni sono riprese dal libro complessivo sull’argomento: Valerio Piccioni, Quando giocava Pasolini. Calci, corse e parole di un poeta, Limina 1996. Per i i riferimenti epistolari si rinvia a Pier Paolo Pasolini, Lettere 1940-1954, a cura di N. Naldini, Einaudi 1986 e Lettere 1955-1975″, a cura di N. Naldini, Einaudi,  1988. Cfr. anche P.P.Pasolini, Saggi sulla letteratura e sull’arte, Milano 1999, vol. II

 «I pomeriggi che ho passato a giocare a pallone sui Prati di Caprara (giocavo anche sei-sette ore di seguito, ininterrottamente: ala destra, allora, e i miei amici, qualche anno dopo, mi avrebbero chiamato lo “Stukas”: ricordo dolce bieco) sono stati indubbiamente i più belli della mia vita. Mi viene quasi un nodo alla gola, se ci penso. Allora, il Bologna era il Bologna più potente della sua storia: quello di Biavati e Sansone, di Reguzzoni e Andreolo (il re del campo), di Marchesi, di Fedullo e Pagotto. Non ho mai visto niente di più bello degli scambi tra Biavati e Sansone (Reguzzoni è stato un po’ ripreso da Pascutti). Che domeniche allo stadio Comunale!».

Pier Paolo Pasolini, «Paese Sera», 23 marzo 1956
«Dunque… io sono tifoso e tutte le domeniche vado all’Olimpico di Roma; sono, naturalmente, tifoso del Bologna, essendo Bologna la mia città natale. Per quanto riguarda il tifo in genere, io penso che esso sia inscindibile dallo sport…»

 Enzo Biagi intervista Pier Paolo Pasolini, «La Stampa», 4 gennaio 1973
Senza cinema, senza scrivere, che cosa le sarebbe piaciuto diventare? Un bravo calciatore. Dopo la letteratura e l’eros, per me il football è uno dei grandi piaceri.

Il Caos, a cura di G.C. Ferretti, Editori Riuniti, Roma 1979
«Ma, strano a dirsi, tutto è cambiato in questi trent’anni. Mi ricordo di quel tempo come se fosse il tempo di un morto; tutto è cambiato, ma le domeniche agli stadi, sono rimaste identiche. Me ne chiedo il perché…»

 Versi tratti da Pier Paolo Pasolini, Roma 1950. Diario, Scheiwiller, Milano, 1960, p. 27.
…E so come sia terso in questo ottobre
il colle di San Luca sopra il mare
di teste che copre il cerchio dello stadio…

Il Caos, a cura di G.C. Ferretti, Editori Riuniti, Roma 1979
«L’ultima partita a cui ho assistito, è stata la partita tra il Torino e l’Inter, due o tre domeniche fa. Ci sono andato in una grigia giornata torinese con Mario Soldati. Ha vinto il Torino (per cui, in quell’occasione tenevo, pur con gran sforzo: perché la… classe – sì, lo ripeto, questa orrenda parola, la “classe”- dell’Inter mi affascinava – anche se si è manifestata, e a frammenti, solo nel primo tempo: specie attraverso Corso (“classe” non vuol dire sempre simpatia: essa è come la grazia: crudele). Quella domenica, il Bologna ha perso (ho l’impressione, immeritatamente, con la Roma di Herrera) per due a uno. Che dolore! Che dolore!»

 Franco Citti, Vita di un ragazzo di vita, SugarCo, Milano 1992
«Era un grande tifoso del Bologna. Una volta sola l’ho visto incazzato davvero. È stato quando andammo all’Olimpico a vedere Roma-Bologna e la sua squadra perse 4 a 1. La febbre del calcio, comunque, che forse non era riuscito a consumare al punto giusto quando da piccolo viveva in Friuli, non riusciva proprio a togliersela».

 Paolo Volponi, Lettera a Pasolini, 1957
«Ma sappi che tengo per te come per Coppi e per il Bologna»

 Paolo Volponi, Lettera a Pasolini dopo la vittoria del Premio Viareggio, 1957
«una parte del milione da spendere in partite, giacché quest’anno seguiremo felici i trionfi del Bologna: che belle domeniche pomeriggio con i risultati sicuri nei tabellini dei caffè, con la Roma travolta…»

Pier Paolo Pasolini, Lettera a Sereni, 1954
«Roma, 12 novembre 1954
Caro Sereni,
[…] Intanto ti avverto che domenica il mio cuore è a Milano, insieme a quello grassoccio di Volponi: tutti e due a palpitare fino sull’orlo della trombosi. E mi dispiace che la gioia nostra sarà la tua disfatta…
Pier Paolo Pasolini»

 Vittorio Sereni, Lettera a Pasolini, 1954
«Milano, 15 novembre 1954
[…] Tanti affettuosi saluti, Tuo Sereni che non sapeva, badate, dell’esistenza d’un formidabile alleato al vostro San Petronio, San Gregorio, il più formidabile di tutti. Comunque, come Teodorico morente vedeva Severino Boezio, ieri ho visto al 90° sul cielo di San Siro effondersi il tuo ghigno e il serafico sorriso di quel volpone di Volponi.»

Vittorio Sereni, Lettera a Pasolini, 1956
«Milano, 4 dicembre 1956
[…] Ho bisogno di riprendere in mano certe cose interrotte e il mio lavoro, in queste condizioni, sarà sempre precario. Sicché ci vorrà del tempo prima che io sia convinto di pubblicare qualcosa in modo non clandestino: almeno il tempo che occorrerà al Bologna per risalire dalle attuali bassure (e campa cavallo, come vedi)».

 “Il Giorno”, 14 luglio 1963; ora in Pier Paolo Pasolini, Romanzi e Racconti, 1962-1975, Mondadori 1998, vol. II
[…] Io, su questo, sono rimasto all’idealismo liceale, quando giocare al pallone era la cosa più bella del mondo.

Guido Gerosa intervista Pier Paolo Pasolini.”Europeo”, 31 dicembre 1970
Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. E’ rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l’ultima rimastaci. Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro. Perciò considero il calcio l’unico grande rito rimasto al nostro tempo.

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Brano tratto da Il calcio “è” un linguaggio con i suoi poeti e prosatori, in Pier Paolo Pasolini, Saggi sulla letteratura e sull’arte, Milano 1999, vol. II, pp. 2545-2551
⌈…⌋Il football è un sistema di segni, cioè un linguaggio. Esso ha tutte le caratteristiche fondamentali del linguaggio per eccellenza, quello che noi ci poniamo subito come termine di confronto, ossia il linguaggio scritto-parlato. Infatti le “parole” del linguaggio del calcio si formano esattamente come le parole del linguaggio scritto-parlato. Ora, come si formano queste ultime? Esse si formano attraverso la cosiddetta “doppia articolazione” ossia attraverso le infinite combinazioni dei “fonemi”: che sono, in italiano, le 21 lettere dell’alfabeto.
I “fonemi” sono dunque le “unità minime” della lingua scritto-parlata. Vogliamo divertirci a definire l’unità minima della lingua del calcio? Ecco: “Un uomo che usa i piedi per calciare un pallone è tale unità minima: tale “podema” (se vogliamo continuare a divertirci). Le infinite possibilità di combinazione dei “podemi” formano le “parole calcistiche”: e l’insieme delle “parole calcistiche” forma un discorso, regolato da vere e proprie norme sintattiche.
I “podemi” sono ventidue (circa, dunque, come i fonemi): le “parole calcistiche” sono potenzialmente infinite, perché infinite sono le possibilità di combinazione dei “podemi” (ossia, in pratica, dei passaggi del pallone tra giocatore e giocatore); la sintassi si esprime nella “partita”, che è un vero e proprio discorso drammatico. I cifratori di questo linguaggio sono i giocatori, noi, sugli spalti, siamo i decifratori: in comune dunque possediamo un codice.
Chi non conosce il codice del calcio non capisce il “significato” delle sue parole (i passaggi) né il senso del suo discorso (un insieme di passaggi).
Non sono né Roland Barthes né Greimas, ma da dilettante, se volessi, potrei scrivere un saggio ben più convincente di questo accenno, sulla “lingua del calcio”. Penso, inoltre, che si potrebbe anche scrivere un bel saggio intitolato Propp applicato al calcio: perché, naturalmente, come ogni lingua, il calcio ha il suo momento puramente “strumentale” rigidamente e astrattamente regolato dal codice, e il suo momento “espressivo”.
Ho detto infatti qui sopra come ogni lingua si articoli in varie sottolingue, in possesso ciascuna di un sottocodice. Ebbene, anche per la lingua del calcio si possono fare distinzioni del genere: anche il calcio possiede dei sottocodici, dal momento in cui, da puramente strumentale, diventa espressivo.
Ci può essere un calcio come linguaggio fondamentalmente prosastico e un calcio come linguaggio fondamentalmente poetico.
Per spiegarmi, darò – anticipando le conclusioni – alcuni esempi: Bulgarelli gioca un calcio in prosa: egli è un “prosatore realista”; Riva gioca un calcio in poesia: egli è un “poeta realista”.
Corso gioca un calcio in poesia, ma non è un “poeta realista”: è un poeta un po’ maudit, extravagante. Rivera gioca un calcio in prosa: ma la sua è una prosa poetica, da “elzeviro”.
Anche Mazzola è un elzevirista, che potrebbe scrivere sul “Corriere della Sera”: ma è più poeta di Rivera; ogni tanto egli interrompe la prosa, e inventa lì per lì due versi folgoranti.
Si noti bene che tra la prosa e la poesia non faccio distinzione di valore; la mia è una distinzione puramente tecnica.
Tuttavia intendiamoci: la letteratura italiana, specie recente, è la letteratura degli “elzeviri”: essi sono eleganti e al limite estetizzanti: il loro fondo è quasi sempre conservatore e un po’ provinciale… insomma, democristiano. Fra tutti i linguaggi che si parlano in un Paese, anche i più gergali e ostici, c’è un terreno comune: che è la “cultura” di quel Paese: la sua attualità storica.
Così, proprio per ragioni di cultura e di storia, il calcio di alcuni popoli è fondamentalmente in prosa: prosa realistica o prosa estetizzante (quest’ultimo è il caso dell’Italia): mentre il calcio di altri popoli è fondamentalmente in poesia.
Ci sono nel calcio dei momenti che sono esclusivamente poetici: si tratta dei momenti del “goal”. Ogni goal è sempre un’invenzione, è sempre una sovversione del codice: ogni goal è ineluttabilità, folgorazione, stupore, irreversibilità. Proprio come la parola poetica. Il capocannoniere di un campionato è sempre il miglior poeta dell’anno. In questo momento lo è Savoldi. Il calcio che esprime più goals è il calcio più poetico.
Anche il “dribbling” è di per sé poetico (anche se non “sempre” come l’azione del goal). Infatti il sogno di ogni giocatore (condiviso da ogni spettatore) è partire da metà campo, dribblare tutti e segnare. Se, entro i limiti consentiti, si può immaginare nel calcio una cosa sublime, è proprio questa. Ma non succede mai. E un sogno (che ho visto realizzato solo nei Maghi del pallone da Franco Franchi, che, sia pure a livello brado, è riuscito a essere perfettamente onirico).
Chi sono i migliori “dribblatori” del mondo e i migliori facitori di goals? I brasiliani. Dunque il loro calcio è un calcio di poesia: ed esso è infatti tutto impostato sul dribbling e sul goal.
Il catenaccio e la triangolazione (che Brera chiama geometria) è un calcio di prosa: esso è infatti basato sulla sintassi, ossia sul gioco collettivo e organizzato: cioè sull’esecuzione ragionata del codice. Il suo solo momento poetico è il contropiede, con l’annesso “goal” (che, come abbiamo visto, non può che essere poetico). Insomma, il momento poetico del calcio sembra essere (come sempre) il momento individualistico (dribbling e goal; o passaggio ispirato).
Il calcio in prosa è quello del cosiddetto sistema (il calcio europeo): il suo schema è il seguente:

 calcio002

Il “goal”, in questo schema, è affidato alla “conclusione”, possibilmente di un “poeta realistico” come Riva, ma deve derivare da una organizzazione di gioco collettivo, fondato da una serie di passaggi “geometrici” eseguiti secondo le regole del codice (Rivera in questo è perfetto: a Brera non piace perché si tratta di una perfezione un po’ estetizzante, e non realistica, come nei centrocampisti inglesi o tedeschi).
Il calcio in poesia è quello del calcio latino-americano: il suo schema è il seguente:

calcio001

Schema che per essere realizzato deve richiedere una capacità mostruosa di dribblare (cosa che in Europa è snobbata in nome della “prosa collettiva”): e il goal può essere inventato da chiunque e da qualunque posizione. Se dribbling e goal sono i momenti individualistici-poetici del calcio, ecco quindi che il calcio brasiliano è un calcio di poesia. Senza far distinzione di valore, ma in senso puramente tecnico, in Messico [Olimpiadi 1968] è stata la prosa estetizzante italiana a essere battuta dalla poesia brasiliana.»