L’espulsione di Pasolini dal P.C.I. friulano nel 1949. Una riflessione dello storico Anna Tonelli.

di Donatella Schettini

www.messaggeroveneto.it – 8 novembre 2014

“Pasolini e il politico”, occasione di dibattito nella due giorni promossa dal Centro studi Pasolini di Casarsa, fa subito scintille. Anna Tonelli, docente di Storia contemporanea a Urbino, ha infatti aperto i lavori affrontando il tema de Gli irregolari. Amori comunisti al tempo della guerra fredda, testo edito da Laterza. E ha riacceso i riflettori su un fatto traumatico accaduto 65 anni fa: il 26 ottobre del 1949 la federazione di Pordenone del Pci espelleva Pier Paolo Pasolini: un provvedimento improvviso, contestato e su cui a tutt’oggi non si è fatta completa chiarezza. Un episodio controverso e doloroso sul quale Tonelli ha annunciato ufficialmente di voler fare luce e al quale dunque dedicherà il suo prossimo libro.
L’espulsione di Pasolini dal Pci fu decisa dopo che fu presentata una denuncia di corruzione di minori: il 30 settembre del 1949 lo scrittore, allora sconosciuto al mondo della cultura, durante la sagra di paese a Ramuscello si era intrattenuto con alcuni ragazzi del luogo. Prima della magistratura si mosse la federazione provinciale del Pci di Pordenone che riuní il direttivo e decise l’espulsione di Pasolini. «Ci furono delle anomalíe – ha ricordato Tonelli -. La riunione fu convocata alle 18 quando generalmente si teneva la sera per consentire a tutti di partecipare. Nel corso di questa seduta, invece, si decise frettolosamente l’espulsione di Pasolini. L’accusa? Indegnità morale». Contro il provvedimento e l’ora di convocazione protestò in seguito l’avvocato Teresina Degan.

29 ottobre 1949. Sulla stampa l'espulsione di Pasolini dal P.C.I.
29 ottobre 1949. Sulla stampa l’espulsione di Pasolini dal P.C.I.

«A quei tempi – ha detto Tonelli – l’espulsione era un provvedimento che non veniva preso con leggerezza né era frequente. Ho studiato tutti i casi di immoralità decisi dal partito e posso affermare che non ce ne sono stati tanti».E allora oggi ci si può ancora interrogare sul perché la decisione nei confronti del poeta corsaro fu presa cosí celermente. La ricostruzione storica è resa ostica dalla mancanza di documenti: «Non c’è un verbale di quella riunione neanche negli archivi romani, nonostante quasi sempre tutti i verbali delle federazioni locali fossero trasmessi a quella centrale».Quanto al motivo dell’espulsione di Pasolini, Tonelli dà una lettura politica e sociale: «Siamo nel ‘49 – ha detto – in pieno clima di guerra fredda, con una forte contrapposizione tra il mondo occidentale e quello orientale. In Italia la contrapposizione è tra Dc e Pci e i comportamenti erano presi dall’uno e dall’altro partito come motivo di contrapposizione politica. La Dc friulana di fatto controllava tutti gli avversari e coglieva qualsiasi pretesto utile per alimentare una campagna anticomunista. In quel momento c’era anche chi sosteneva che la denuncia fosse stata favorita da personaggi della Dc locale: Pasolini stesso accuserà i suoi compagni di partito di essere caduti nella trappola democristiana e di essersi liberati di quello che avrebbe potuto diventare un problema».

Funerale di Guido Pasolini a Casarsa 21 giugno 1945.
Funerali di Guido Pasolini a Casarsa, 21 giugno 1945.  Pier Paolo, in abito chiaro, segue il feretro.

Una seconda lettura dell’espulsione di Pasolini è riconducibile alla incapacità del Pci di comprendere per tanti anni l’omosessualità: «Il partito – ha osservato Tonelli – arriverà tardissimo a considerarla normale e naturale. Prima rientrava in un atteggiamento non consono al costume comunista, al modello della sobrietà proletaria. Nei provvedimenti sugli omosessuali essi vengono chiamati “invertiti” usando una parola discriminatoria. E questo è un altro elemento che indica il grado di conservazione e arretratezza del Pci dell’epoca». L’ultimo aspetto di quell’episodio riguarda l’influenza letteraria di autori come Sartre e Gide sulla morale: «Quando fu annunciata l’espulsione di Pasolini sull’Unità, che normalmente nascondeva ciò che poteva essere problematico, nel commento si affermò che la responsabilità di certi atteggiamenti era dovuta a influenze nefaste di tipo letterario».
Il caso Pasolini quindi, secondo Tonelli, rientra a pieno titolo nell’orientamento dell’Italia dell’epoca «uscita dalla guerra, che stava cercando una nuova strada del senso di comunità. Un Paese segnato da questi due partiti che non erano solo i partiti di massa, ma anche i riferimenti di uno stile di vita. L’espulsione di Pasolini è particolarmente interessante, è la spia dell’Italia del periodo».

[info_box title=”Anna Tonelli” image=”” animate=””]è professore di Storia contemporanea presso l’Università di Urbino Carlo Bo, dove insegna anche Storia dei partiti politici e Storia del giornalismo. E’ componente della Direzione scientifica e del Consiglio Direttivo dell’Istituto per la storia della Resistenza e dell’Italia contemporanea della provincia di Rimini. Fa parte della direzione scientifica della rivista “Storia e problemi contemporanei” e collabora a varie riviste storiche, fra le quali “Italia contemporanea” e “Passato e presente”. Si occupa di storia culturale e di storia politica e sociale, con un’attenzione particolare verso la mentalità, il costume, la memoria. Collabora alle pagine nazionali e regionali del quotidiano “la Repubblica”. Fra i suoi libri più recenti, Politica e amore. Storia dell’educazione ai sentimenti nell’Italia contemporanea (il Mulino 2003, Premio Brancati 2004), Comizi d’amore. Politica e sentimenti dal ’68 ai Papa boys (Carocci 2007) e Stato spettacolo. Pubblico e privato dagli anni ’80 a oggi (Bruno Mondadori 2010). N el 2014 l’uscita per Laterza del saggio Gli irregolari. Amori comunisti al tempo della guerra fredda. [/info_box]