La scuola senza Pasolini (e gli inutili esami di ‘maturità’), di Giorgio Quaglia

La scuola senza Pasolini (e gli inutili esami di ‘maturità’)

di Giorgio Quaglia

21 giugno 2013

 

“La scuola si avvicina a un punto di doppia implosione, non riuscendo più a sfornare né cittadini né personalità. Essa si approssima a una condizione al di là dell’omologazione e della produzione di eccedenze, che trascura ogni aspetto di utilità diretta e di creazione di effetti indiretti. Un anno dopo l’altro, essa sforna coorti di studenti sempre più disorientati, nelle quali si osserva con sempre maggiore chiarezza l’adattamento a un sistema scolastico ormai orientato in senso maladattivo, senza che si possa imputare la benché minima colpa al singolo insegnante o al singolo studente…
Il problema dell’odierno sistema scolastico non consiste soltanto nell’incapacità di ottemperare all’incarico statale di educare i cittadini, giacché la definizione della meta si è fatta troppo imprecisa di fronte alle pretese dell’attuale mondo del lavoro. Tale problema si articola ancor più chiaramente nell’abbandono dell’eccedenza umanistica e artistica che caratterizzava il sistema educativo, volto ormai all’applicazione più o meno asettica di routine didattiche fondate in maniera pseudoscientifica”.
Ancora.
“Con la differenziazione del sistema scolastico si è affermata una condizione nella quale la scuola conosce una sola materia di studio, chiamata appunto “scuola”. A questo fenomeno corrisponde l’unico obiettivo esterno della lezione: l’esame di maturità. Chi frequenta scuole del genere ha imparato, durante un periodo che può arrivare fino a tredici anni, a non prendere i suoi insegnanti come modelli. Adattandosi al sistema, si è appreso un apprendimento che rinuncia a interiorizzare le materie. In modo pressoché irreversibile, è stata inculcata la materia, senza servirsi di un esercizio che ne consentisse l’appropriazione. Si è acquisito l’habitus dell’apprendimento-come-se, che si appropria in modo difensivo di argomenti a piacere, nella convinzione, corretta rispetta all’immanenza del sistema, che le capacità di adattarsi alle forme date della lezione sia, fino a prova contraria, l’obiettivo di ogni pedagogia”.
Queste particolari e profonde osservazioni sulla scuola del prof. Peter Sloterdijk (tratte in sintesi dal suo poderoso volume filosofico “Devi cambiare la tua vita”), credo siano adatte per commentare le ‘tracce’ prescelte dal competente Ministero e riferite agli esami di maturità nelle prove di italiano, poiché dalle stesse l’acume critico usato dal pensatore tedesco appare addirittura inadeguato a descrivere una realtà culturale e di sistema appunto al limite del paradosso.
Fra le quattro ‘tipologie’ proposte che oltre mezzo milioni di studenti avrebbero dovuto scegliere, ossia analisi del testo, redazione di un saggio breve o di un articolo di giornale, tema di argomento storico e quello di ordine generale, nessuna faceva riferimento a ‘documenti’ tratti da opere di autori oggetto di studio nei programmi del quinquennio. Oltre al caso singolare della prima ‘tipologia’ riferita al saggio di Claudio Magris L’infinito viaggiatore del 2005 (autore e opera attuali credo del tutto sconosciuti), è in particolare il secondo ‘settore’ – quello artistico/letterario – a decretare l’assurda contraddittorietà delle scelte ministeriali. Sotto l’argomento “Individuo e società di massa” infatti, si fa riferimento a ‘brani’ tratti da opere di Pier Paolo Pasolini (Scritti corsari del 1975), Elias Canetti (Il frutto del fuoco, Storia di una vita del 2007) e Remo Bodei (Destini personali. L’età della colonizzazione delle coscienze del 2002), ossia uno dei più grandi e prolifici intellettuali e due filosofi significativi del Novecento, l’ultimo dei quali ancora in vita (come del resto lo è Magris), non si sa con quali obiettivi: “segnare” l’importanza della ‘contemporaneità’ a discapito della letteratura poetica e narrativa (ormai in via di estinzione, come ha sostenuto il professore di letteratura italiana all’Università La Sapienza di Roma Giulio Ferroni), evidenziare invece l’attualità di quegli autori, oppure qualcos’altro?
E’ pur vero che le tracce non obbligavano a soffermarsi sui ‘personaggi’ e che era giustificata la supposizione (spesso erronea) di una più marcata possibilità e volontà della gioventù scolastica di essersi nel tempo documentata e informata al di fuori dell’ambiente e con le potenzialità anche offerte dalla Rete, ma appare troppo sfacciata la decisione di far parlare di argomenti e ‘soggetti’, come detto, risultanti così avulsi dal contesto didattico. Il punto grave è proprio questo, di fronte ad una consapevolezza che i funzionari del Ministero non potevano non avere; il “mondo esterno” all’Istituzione scolastica – con la sua relativa storia umana, sociale, culturale e politica – non è mai entrato con serietà nelle ‘materie’ e nei ‘programmi’ educativi e pretendere invece che la massa degli “utenti” ne discuta alla fine dei cinque anni per verificarne la maturità, è da provocatori irresponsabili.
Il caso di Pier Paolo Pasolini poi (più di quello di Canetti e Bodei), è emblematico e smaschera quello che per un verso sembra in sostanza un maldestro tentativo di evitare qualsiasi presa d’atto autocritica della situazione (resa più deleteria da tagli finanziari e carenze e fatiscenze infrastrutturali), facendo palesare quasi una “modernità” negli indirizzi di insegnamento. Se fossimo un Paese con la coscienza istituzionale pulita, un testo come Scritti corsari – unico nel panorama intellettuale degli anni ‘Settanta, anche per la sua carica profetica di generale denuncia – figurerebbe fra i principali libri scolastici e non sarebbe relegato all’interesse e alla passione (in molti casi non del tutto spontanea) di sempre più crescenti, indistinte ed eterogenee ‘schiere’ di lettori. Il fatto è che la “civiltà edonista” del consumo, la stessa che nel ‘documento’ indicato dal Ministero, Pasolini definisce la «più repressiva della storia» (ancor più del fascismo), ha potuto completare il suo micidiale e devastante “percorso” antropologico proprio perché la scuola e di riflesso lo Stato non hanno mai svolto la loro alta funzione civica educativa e si sono addirittura invece resi subalterni e complici nel tentativo riuscito di «imporre modelli di vita» che pretendono non soltanto «un uomo che consuma», ma che «non siano concepibili altre ideologie se non quella del consumo».
Se in questi decenni, nelle aule delle secondarie, milioni di giovani avessero potuto davvero “appropriarsi” (per ritornare a Sloterdijk) della “furia ideale-didattica” delle opere di Pier Paolo Pasolini – in particolare lo ‘scrittore corsaro’ – (e, ovvio, di svariati altri autori) il ‘sistema’ televisivo che fin dall’inizio il Poeta di Casarsa aveva denunciato come responsabile radicale e decisivo nell’«omologazione distruttrice» in corso, non avrebbe potuto ottenere effetti così nefasti (oggi amplificati con l’illusorio e ingannevole utilizzo massiccio in particolare dei Social network). Invece il suo ‘messaggio’, le sue ‘eresie’, la sua intelligenza critica hanno dato sempre molto fastidio all’insieme del potere politico-istituzionale-in/formativo mafioso del nostro Paese e per questo sono stati rifiutati a livello di istruzione.
Così oggi, da parte di vertici ministeriali senza scrupoli, aver voluto collegare in modo così forzato e strumentale una figura come la sua alla scuola (che, riferita alle medie, lui chiedeva in modo provocatorio di abolire, insieme alla TV), ha fatto soltanto capire meglio e con tristezza quanto sia rimasta più povera e degradata questa basilare istituzione senza la “presenza conoscitiva” vera di Pier Paolo Pasolini e come e quanto siano inutili tali esami di ‘maturità’.