La Milano di Pasolini, tra macerie e grattacieli, di Angelica D’Errico

«Una visione impressionante di Milano notturna: […] oltre il Naviglio, ci sono delle rovine di vecchie case sventrate, con le finestre vuote, occhieggianti, e angoli colmi di un buio pauroso. Dietro quell’ammasso di macerie, splendenti le sagome dei quattro grattacieli: il Galfa, il Pirelli… Sono immagini stupende: sfolgorano di luci come giganteschi diamanti, come colossali fantasmi pietrificati» (da La Nebbiosa, il Saggiatore, Milano 2013, p.83). La Milano che viene fuori dalla Lettera 22 di Pier Paolo Pasolini è questa: macerie e grattacieli. Rovine e diamanti. Paura e splendore.
Sulle contraddizioni della locomotiva d’Italia, acutamente intuite da Pasolini, si sofferma 
Angelica D’Errico, in una riflessione che qui riportiamo.

 di Angelica D’Errico
www.linkiesta.it – 4 febbraio 2015

Può sembrare strano immaginare Pasolini all’ombra del Duomo. Ma nell’Italia post seconda guerra mondiale Milano era il simbolo del Nord europeo, moderno e sviluppato: un pezzo d’Italia che non poteva mancare nel puzzle del poeta. Pasolini la conobbe per la prima volta nel 1955, quando sedette al banco degli accusati della IV sezione del tribunale. Aveva subito, nel mese di luglio, un processo per oltraggio al pudore assieme al suo editore Livio Garzanti: il libro incriminato, Ragazzi di vita. «Nella pubblicazione si riscontra carattere pornografico», si legge nella segnalazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri che, come voleva la legge, aveva ricevuto il manoscritto prima della pubblicazione per vagliarlo. I giudici, dopo la sfilata di testimonianze in favore degli imputati, assolsero entrambi con «formula piena» e dissequestrarono il libro. «Pasolini è il più grande poeta italiano. Riesce a fare della denuncia sociale una poesia», lo difese Giuseppe Ungaretti in una lettera inviata ai magistrati. L’episodio si risolse con un nulla di fatto, ma segnalò alla società italiana un artista “pericoloso”, da tenere sotto mira: fu solo il primo della lunga lista di querele e processi cui il poeta fu sottoposto.
Quattro anni dopo il processo Pasolini si ritrovò ancora tra le strade di Milano, questa volta per motivi di lavoro. «Un certo T. – racconta nell’articolo Cronaca di una giornata su “Paese sera” – mi chiede di sceneggiargli un film sui Teddy Boys. Vado a Milano, passo venti atroci giorni in un alberghetto a lavorare come un cane, lavoro ancora altri atroci venti giorni a Roma». T. era il produttore Renzo Tresoldi e la sceneggiatura si chiamava, allora, Polenta e sangue. Pasolini accettò, affascinato com’era dagli studi sul disagio dei ragazzi delle periferie metropolitane. «Gli si chiedeva – racconta Franco Zabagli, che con Walter Siti ha curato i due “Meridiani” Mondadori sul cinema di Pasolini – un tentativo di documentazione sociologica della nuova gioventù milanese/lombarda, molto simile a quello che pochi anni prima aveva fatto e avrebbe continuato a fare con la gioventù romana». Certamente Milano in quegli anni era più avanzata di Roma: ed era proprio l’effetto di questa modernità a incuriosire lo scrittore.

La Milano degli anni Cinquanta
La Milano degli anni Cinquanta

Secondo la testimonianza del cugino Nico Naldini, Pasolini lavorò alla sceneggiatura con «molta energia, lunghe sedute di lavoro e di documentazione». Fedele al realismo documentario, avviò febbrili ricognizioni della città accompagnato da alcuni “teppistelli”. Con loro girò per le vecchie bettole milanesi, i trani, per night club e desolati bar di Corso Buenos Aires. Perlustrò ritrovi giovanili tra i biliardi fumosi di San Siro e i bar di Porta Venezia, frequentò balere di periferia. Viaggiò per l’hinterland, tra Novate e Bollate.
Ne venne fuori, con una scrittura del tutto sperimentale, il racconto noir delle peripezie di un gruppo di ragazzi durante la notte di Capodanno. Un’inchiesta in presa diretta dove la protagonista assoluta è la grigia e fumosa Milano-Metanopoli, la nebbiosa, come suggerisce il titolo definitivo della sceneggiatura. Una città sfolgorante di luci, d’intermittenze veloci, costellata di grattacieli all’ombra dei quali si nascondono rovine, macerie e abbandono. «Pasolini è una contraddizione», sottolinea Zabagli. «È proprio la contiguità tra macerie e novità, proprio il fatto che si trovassero nel medesimo skyline a generare la sua poesia». Pasolini è il primo a intuire che nella Milano del boom economico, che galleggia tra passato e futuro, c’è una periferia abbandonata. Il primo a studiare quella terra di nessuno che coltiva i semi della violenza: violenza che di lì a poco avrebbe avviluppato l’Italia nella spirale del terrore.
Tra i primi a essere travolti dalla corsa al nuovo benessere i Teddy Boys. Giubbotto di cuoio nero, sciarpetta al collo e ciuffi impomatati, sono ragazzi piccolo borghesi, figli di ex fascisti, che sfogano le loro frustrazioni in una anarchica protesta contro la Milano bene. «Siete non infelici, ma molto infelici», li redarguisce ne La Nebbiosa l’omosessuale Gino, alter ego dell’autore. «Odiate tutti i vostri padri, e il loro mondo, cioè la società: ma non li odiate abbastanza…perché, in fondo, siete come loro…». «I giovani milanesi – sostiene Zabagli – erano per Pasolini il retaggio di una povertà che andava esaurendosi e evolvendo verso una modernità approssimativa, precoce, surrettizia». Girano in moto, sognano James Dean, cantano Elvis Presley e ballano le canzoni di Adriano Celentano (non a caso Teddy Girl è il titolo di una canzone del “molleggiato” del 1959, eseguita anche da Giorgio Gaber e Enzo Jannacci). Rubano, picchiano, stuprano. «È una gioventù insofferente e incattivita dalla società capitalistica – scriverà Pasolini su “Nuovi Argomenti” – traviata da sciocco paternalismo, da valori superficiali».

"Comizi d'amore" (1963-1964)
“Comizi d’amore” (1963-1964)

Milano, agli occhi del poeta, resta una città controversa anche quando la si ritrova nel docu-film Comizi d’amore [le riprese avvennero tra il marzo e il novembre 1963]: è il 1964, l’Italia è nel pieno del miracolo economico e Pasolini la gira da cima a fondo «sperando – sostiene la sua voce fuori campo nel film – di scoprirvi i segni di un contemporaneo miracolo culturale e spirituale». A Milano intervista gli operai delle fabbriche e i giovani che volteggiano nelle balere. Le domande sono provocanti: il sesso, l’omosessualità, le reazioni sulla legge Merlin che nel 1958 decretò la chiusura della case di tolleranza. Le risposte sono univoche: il sesso è un tabù, gli omosessuali «ambigui da correggere», la legge Merlin «una gran boiata». A sei anni dall’esperimento Nebbiosa, la conclusione di Pasolini è la stessa: «L’Italia del benessere materiale viene contraddetta da questi italiani reali, ipocriti. Persino gli operai di Milano sono uniti in una protesta prebiscitaria contro una legge moderna e democratica come la Merlin».
Nel 1968 ritroveremo ”l’ipocrisia borghese” nel pasoliniano Teorema: film incentrato su una famiglia altolocata milanese che nasconde “sotto il tappeto” vizi e perversioni.

Pasolini con Silvana Mangano sul set di "Teorema" (1968)
Pasolini con Silvana Mangano sul set di “Teorema” (1968)

A cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, Milano annega nel sangue: scoppiano le bombe a Piazza Fontana, l’anarchico Giuseppe Pinelli cade dalla finestra della questura, il commissario Luigi Calabresi viene assassinato in Via Cherubini. Nel 1973, nel pieno degli anni di piombo, l’allora direttore del “Corriere della Sera” Piero Ottone propone allo scrittore di collaborare al quotidiano di Via Solferino. La possibilità di intervenire nelle polemiche di attualità, raggiungendo un numero elevatissimo di persone e scuotendole dai “torpori” del conformismo, spinge Pasolini ad accettare. Radicale, polemico, provocatorio, i suoi articoli saranno inseriti nella sezione Tribuna Aperta, spesso preceduti dalla cauta precisazione del giornale: «Su queste colonne intervengono voci delle più diverse tendenze, invitate a esprimere intorno a temi di attualità il loro giudizio, che non sempre rappresenta quello del Corriere». L’apertura al dibattito si rivela un esperimento riuscito: le vendite aumentano sensibilmente. Pasolini continuerà a trattare, con veemenza crescente, i temi della mutazione antropologica dell’uomo, dei giovani, del progresso, del conformismo fino al giorno in cui fu ucciso sulle spiagge di Ostia. Era il 2 novembre 1975. Quarant’anni fa.
Verrebbe da chiedersi cosa penserebbe Pasolini della Milano da bere di oggi, paradigma dello sviluppo del Paese: «Per Pasolini – prova a rispondere Zabagli – era già intollerabile il livello di modernità che aveva raggiunto l’Italia quando è stato ucciso. Oggi sicuramente troverebbe nuove e più forti ipocrisie, forse nel fenomeno dell’immigrazione».