La globalizzazione secondo Pasolini. Una riflessione di Alessandro Cantoni

Su “www.intornotirano.it”, giornale di Tirano e della Valtellina, è uscita il 28 luglio 2017 una riflessione, sintetica e stringente,  dello scrittore Alessandro Cantoni. Il mondo globalizzato del presente è letto e stigmatizzato secondo la lente interpretativa di Pasolini e gli allarmi da lui lanciati, e spesso malintesi da molti,  circa il processo dell’omologazione socio-culturale provocato dall’euforia dello sviluppo industriale e dalla idolatria del Nuovo, a scapito della tradizione e del passato.

Pasolini e il conformismo socio-culturale nell’era della globalizzazione
di Alessandro Cantoni

www.intornotirano.it – 28 luglio 2017

Nel 1974, l’intellettuale Pier Paolo Pasolini rilanciò con forza il suo attacco alla società consumistica che si stava formando agli esordi degli anni Sessanta.   Scrisse una lunga lettera ad Italo Calvino, che in quegli anni lo accusò di rimpiangere l’Italietta degli antichi valori. Il conformismo, spiegava Pasolini l’8 luglio di quello stesso anno, è sempre esistito. Ma allora stavano divenendo «tutti uguali uno all’altro secondo un codice interclassista». Si era estinta la barriera sociale, peculiare di ciascuna entità specifica, in cui dominavano precise e «concrete condizioni culturali» regionali, come illustrò Pasolini.
Numerosi intellettuali e uomini pubblici, nonché istituzionali, non interpretarono o finsero di non comprendere in toto le sue argomentazioni. Ci fu persino chi le classificò come eccessivamente reazionarie, mentre la conservazione ed il rimpianto, se così poteva essere definito, non sono prerogative esclusive della destra. Pier Paolo Pasolini parlò di omologazione socio-culturale, che di fatto riguardò gli anni della rivoluzione postindustriale, in Italia. Il Paese rivoluzionò il suo modo di pensare, diventando vittima della più becera educazione piccolo-borghese e rompendo con ogni tradizione e peculiarità del passato. Subentrò il mito del progresso, del Nuovo, come lo definisce Marco da Milano in un suo libro edito da Rizzoli, Processo al Nuovo. Il Progresso tanto acclamato si trovava Oltreoceano. Sul piano politico si guardò con crescente interesse ai nuovi fenomeni sociali del Supercontinente, degli Stati Uniti d’America.
Ci furono le cadute simboliche – e non solo concettuali – dei muri di Berlino, delle cortine che separarono Germania dell’Est e dell’Ovest. Non crollarono solamente muri, ma anche confini, barriere. Iniziò quel che fu chiamato il grande Sogno europeo. Dalla spiritualità al laicismo, dalla tradizione al Nuovo. In una parola:Globalizzazione, con i suoi pregi e le deficienze che tuttora comporta.

Durante il mio recente viaggio in Grecia, ho cercato di analizzare quel che rimane di una civiltà contadina preindustriale nell’odierna società dei consumi che ha dimenticato il proprio passato. Pasolini sostenne sempre di ritrovare quell’anelito intramontabile nei paesi del Terzo Mondo. I loro popoli vivono ancora di ciò che è essenziale, in quella che Felice Chilanti chiamò età del pane, con un concetto in grado di riesumare l’etica pasoliniana.
In Italia, come nel resto del mondo, questa dimensione è percepita come superata o superabile. È il vecchio che fatica ad andarsene. Nel XXI secolo si corrobora il desiderio di novità, nonché l’egemonia culturale che vede nei grattacieli e nel modello statunitense la sintesi di un mondo che è liquido, come lo definì Bauman.
Eppure, il nuovo modello appare simile ad una costruzione vacillante, instabile e provvisoria. Perché un popolo che non conosce storia non possiede «né volto né anima».

*Foto in copertina: © Vittorio La Verde