Intervista di Paolo Mereghetti a Gian Luigi Rondi, decano dei critici di cinema

Paolo Mereghetti ha intervistato di recente Gian Luigi Rondi, classe 1921,  decano dei critici cinematografici italiani e tra i fondatori del Premio David di Donatello, che giunge nel 2016 alla 60.ma edizione. Al di là delle mode, per sessant’ anni il “doge nero”, come fu soprannominato, ha monopolizzato la critica, raccontato film, descritto personaggi, occupato ruoli di direzione pubblica, sopravvivendo a polemiche, accuse, insinuazioni o attacchi, come quello feroce che gli lanciò Pasolini con un epigramma edito nella Religione del mio tempo all’indomani della stroncatura che Rondi fece de I diavoli di Ken Russell. 

Gian Luigi Rondi, il signore dei David: «Privilegiai gli amici, la Dc mi contestò».
di Paolo Mereghetti 

www.corriere.it – 8 marzo 2016

«Di che cosa sono orgoglioso? Di essere stato, come si dice adesso, un operatore culturale. Di aver creato manifestazioni e festival a favore del cinema». Gian Luigi Rondi, 94 anni compiuti il 10 dicembre scorso, il “mestiere del critico” che esercita ininterrottamente dal 1947 sulle colonne del “Tempo”  lo lascia giudicare agli altri. A lui interessano le manifestazioni che ha diretto e/o inventato, a partire dal David di Donatello, che compie 60 anni. «A dir la verità io sono arrivato nel 1958, alla terza edizione. L’idea l’aveva avuta Massimo Gemini, presidente degli esercenti italiani: voleva che anche l’Italia avesse i suoi Oscar e l’idea cadde sulla statua di Donatello, che Bulgari il primo anno fece in oro zecchino. Poi, dall’anno successivo, divenne dorata solo in superficie».

Chi votava?
All’inizio gli spettatori del Circolo internazionale del cinema, cioè la buona borghesia romana, educata, elegante ma non proprio colta in fatto di gusti cinematografici.

Inizialmente lo statuto prevedeva di eleggere non un solo film ma i due migliori.
Eravamo tutti un po’ democristiani, ai tempi. Un solo titolo avrebbe scontentato troppe persone. Non era ancora di moda la meritocrazia.

Poi nel ’58 arriva lei.
Gemini mi incaricò della comunicazione (io non avevo voluto la parola “capo ufficio stampa”) e il mio compito era essenzialmente di pilotare una manifestazione che stava crescendo per importanza e popolarità.

Pilotare?
Indirizzare. Guidare. Allora al premio concorrevano una scelta di film italiani, non tutti. Il regolamento parlava di opere (possibilmente) inedite. E io, che ero l’unico critico a far parte del direttivo, mi ero preso l’incarico di selezionare i film da mettere in gara. Invitavo quelli che mi piacevano, privilegiando naturalmente i miei amici.

E diventando il «signore» dei David. Ma come si spiegano alcuni premi inaspettati, per esempio al comunista Lizzani per il suo documentario sulla Grande muraglia?
Lizzani era un amico e l’amicizia veniva prima della sua tessera.

Il David ha premiato anche opere controverse come Mondo cane o Africa addio.
Io non li ho votati e di quei film ho scritto male. Ma non potevo né impedire alcune partecipazioni né cambiare i voti del pubblico. A ognuno le sue responsabilità.

Gian Luigi Rondi
Gian Luigi Rondi

Avete anche premiato attrici in ruoli non proprio castigati né «democristiani»: Lisa Gastoni per Grazie zia, Rossana Schiaffino nella Mandragola dove fa un bagno che valse al film il divieto ai minori di 16 anni. 
Al David si faceva come alla Mostra di Venezia, si prescindeva dal visto di censura.

Ha da rimproverare qualche dimenticanza ai David, qualche grosso sbaglio?
Grossi errori non mi sembra che ci siano stati, anche perché vorrebbe dire che quegli errori sarebbero stati anche miei.

Parliamo allora di dimenticanze: 8 ½ di Fellini non c’è nell’albo d’oro dei David di Donatello, Antonioni è stato premiato solo per La notte, Pasolini mai, Ferreri solo per Storie di ordinaria follia, Bellocchio ha ricevuto la prima statuetta per Salto nel vuoto, Bertolucci per L’ultimo imperatore.
Diciamo che il David è un premio che, soprattutto all’inizio, consacrava una carriera più che scoprirla. Proprio per questo ho ideato i premi alla carriera, per onorare chi era stato dimenticato dalle giurie, che a un certo momento sono diventate sempre più numerose e quindi sempre meno prevedibili.

Ma non è per caso che la dimenticanza di certi nomi fosse legata a qualche screzio personale? Bertolucci per esempio l’aveva attaccata per la Mostra di Venezia nel ’71 e ’72.
Quei due anni di direzione sono stati l’unico vero dolore cinematografico della mia vita. Ero stato chiamato a dirigerla da Forlani come presidente della Dc e da Colombo come presidente del Consiglio. Erano anni turbolenti. “L’Espresso” pubblicò una mia fotografia con la dicitura «il doge nero» che mi ferì profondamente. Zurlini mi invitò a ricordare la mia adesione ai cattolici-comunisti durante la Resistenza ma gli risposi che non ero abituato a usare la Resistenza come un ombrello. Così mi ritrovai contro mezzo cinema italiano. Poi però sono diventato amico quasi con tutti. Bertolucci lo invitai a presiedere la Mostra dell’83.

Ai tempi fu attaccato anche dalla Dc.
Usarono la proiezione dei Diavoli di Ken Russell al Festival del ’71. Mi ritrovai contro Rossini, che era capo dell’ufficio cultura della Dc, ma io andai a parlare col patriarca di Venezia, il futuro papa Luciani, e lo scandalo rientrò.

Anche Pasolini non le risparmiò attacchi.
Scrisse un epigramma: «Sei così ipocrita, che come l’ipocrisia ti avrà ucciso / sarai all’inferno, e ti crederai in paradiso». Ma dopo la morte di Angiolillo (direttore del “Tempo”, ndr) nel ’73, liberato dai molti obblighi ideologici, iniziammo a frequentarci e lui mi invitò a consolarmi, perché — mi disse — dall’altra parte c’era un epigramma su Mao.

E infatti dalla metà degli anni Settanta, anche i David diventano più inclusivi, nel ’76 il miglior film è Cadaveri eccellenti di Rosi, che prima aveva duramente attaccato.
La stroncatura che mi impose Angiolillo su Le mani sulla città la vivo ancora con dolore, ma ho fatto pubblicamente ammenda da anni. E dopo che Gianni Letta gli subentrò al “Tempo” ho potuto ritrovare gli amici con cui mi sento più affine, come Walter Veltroni e Francesco Rutelli, e quel partito cui mi sono iscritto da molti anni.

Iscritto?
Sì, sono iscritto da molti anni al Pd.

Qualche novità per i 60 anni dei David?
Dopo 59 anni di premiazioni con la Rai, che non mi stancherò mai di ringraziare, quest’anno il Consiglio direttivo ha accettato la proposta di Sky che non solo organizzerà la serata dei premi il 18 aprile, con Alessandro Cattelan e Francesco Castelnuovo, ma programmerà una lunga carrellata di film italiani premiati in passato dai David. Proprio come prevede lo statuto dei premi, creati in funzione della diffusione dei film italiani.