Cinema, Calabria e Pasolini, reporter in viaggio nel 1959 nel Sud più misterioso

Una agile scheda su un argomento insolito e poco praticato: il rapporto tra il cinema e la Calabria, e in esso il posto speciale che occupa Pasolini, acuto osservatore nel 1959 del mondo “altro” del Sud più diseredato e impenetrabile, come a  Cutro “paese dei banditi”. 

Il cinema e la Calabria. Dal 47 al 54, da Prestifilippo e Ruffo a Caronia
di Giovanni Scarfò

www.zoomsud.it – 8 febbraio 2017

Tra il 1947 e il 1954 si apre e si chiude   una stagione  cinematografica produttiva di dodici film ambientati nella regione Calabria, di cui  tre documentari e tre film prodotti con capitali, attori e registi calabresi: Appuntamento sullo stretto (’47), Cuore d’Aspromonte (’49), Terra senza tempo (‘50),  e Carne inquieta (‘52) di Silvestro Prestifilippo,  SOS Africo (’50) e Tempo d’amarsi (‘52) di Elio Ruffo.
Di produzione “romana” gli altri  film: Patto col diavolo (’49) di Luigi Chiarini, Il lupo della Sila (’49) di Duilio Coletti, Il sentiero dell’odio (‘51) di Sergio Greco, Il brigante Musolino (’50), Il tenente Giorgio (‘52) di Raffaello Matarazzo e II Brigante di Tacca del Lupo (’52) di Pietro Germi.
In particolare Carne inquieta è stato prodotto dalla Paolo Montesano film di Reggio Calabria.
Se per Mario Camerini, Raffaello Matarazzo, Pietro Germi e Sergio Grieco i film citati rappresentavano una parentesi “southtern” calabrese per sfruttare la scia del successo mondiale de Il lupo della Sila, diverso era l’obiettivo di Luigi Chiarini che, accettando di girare Patto col diavolo con la sceneggiatura di Corrado Alvaro, voleva proporre una forma diversa di neorealismo, che però non ha avuto  molta fortuna.
I due calabresi Prestifilippo e Ruffo (Prestifilippo in realtà era siciliano di Caronia, ma amava in particolar modo la Calabria)  rimarranno purtroppo  intrappolati e stritolati dagli ingranaggi di una produzione e da altri esordi (Antonioni, Fellini, Lizzani, Rosi, Pietrangeli, Bolognini e altri) che non concederanno  molti spazi, in quanto  «molti esordienti si presentano già in perfetta forma per una corsa  sulla lunga distanza, mentre   altri hanno il fiato e la preparazione sufficiente a portare a termine il loro giro completo e unico di pista» ( Gian P. Brunetta).
In quanto  alla Calabria  il cinema italiano di quel periodo le   “assegnò” un ruolo già predefinito: quello del brigante.
Dall’Unità d’Italia in poi briganti  ed emigrazioni hanno fissato – e fissano ancora oggi- l’immagine di “una terra  incompiuta ed in viaggio” nel tentativo di abbracciare la propria ombra, l’identità, senza riuscirci: «Se infatti l’identità è consapevolezza del sé in rapporto agli altri – scrive Vito Teti – per la Calabria è stata, molte volte nel corso della storia, senso e immagine di sé in contrapposizione agli altri, intesi anche come abitanti dello stesso paese o in quelli limitrofi».

Pasolini con i giovani del Pci a Cutro
Pasolini con i giovani del Pci a Cutro

Già, nel dopoguerra, l’Italia  entrava nel vortice della   mutazione antropologica e di costume anticipato dal film Riso Amaro (’48) di Giuseppe De Santis e narrato da Pier Paolo Pasolini attraverso il documentario Comizi d’amore (1965) e “scritti sparsi”; una alterazione conseguente   a   una “civiltà industriale” che marciava a grande velocità meno che in Calabria. E Pasolini rappresentava questa condizione nel 1959 quando, per la rivista “Successo”, percorreva la Calabria per scrivere il reportage La lunga strada di sabbia. Quando arriva a Cutro scrive: «È, veramente, il paese dei banditi come si vede in certi film western». Una rappresentazione che, se da una parte  provocava polemiche e denunce, dall’altra gli consentiva di ricevere, in contrapposizione, il Premio “Città di Crotone” per il romanzo Una vita violenta, dopo aver chiarito agli intellettuali crotonesi che “banditi” andava tradotto come “emarginati”. E quindi «Sono felice di non aver vinto lo Strega o il Viareggio-dichiara Pasolini nel ricevere il Premio-i protagonisti del mio romanzo, anche se vivono nella capitale, appartengono al Mezzogiorno d’Italia, ed era giusto che qui a Crotone trovassero la giusta comprensione». Ma in una missiva privata indirizzata al dottor Pasquale Nicolini, ufficiale sanitario del Comune di Paola, che gli aveva chiesto del perché avesse definito “banditi” gli abitanti di Cutro, Pasolini era stato più esplicito. Infatti, se da una parte scrive: «Non è colpa vostra se siete poveri, ma dei governi che si sono succeduti da secoli, fino a questo compreso. E quanto ai ladri, infine: non mi riferivo particolarmente alla Calabria, ma a tutto il sud. Sono stato derubato tre volte: a Catania, Taranto e Brindisi. […] Questi sono dati della vostra realtà: se poi volete fare come gli struzzi, affar vostro. Ma io ve ne sconsiglio. Mi dispiace dell’equivoco: non si tiene mai abbastanza conto del vostro “complesso di inferiorità”, della vostra psicologia patologica, della vostra angesi o mania di persecuzione. Tutto ciò è storicamente e socialmente giustificato»; dall’altra però consiglia di «non cercare consolazioni in un passato idealizzato e definitivamente remoto: l’unico modo per consolarsi è lottare, e per lottare bisogna guardare in faccia la realtà».
Un consiglio che mi permetto di estendere  anche a chi, ancora  oggi, continua a volgere  la testa  all’indietro per decantare un passato remoto che nessun contributo fattuale potrà dare  per superare  le difficoltà del  presente, né per programmare un futuro, perché quel passato ha solo valore storico-museale.