Il “5 P” di Valvasone: Professore, Poeta, Pier Paolo Pasolini, nei ricordi di Elda Schierano

Per una serie di circostanze casuali che hanno un che di provvidenziale, siamo venuti a sapere che in Friuli è viva e lucidissima una collega di Pasolini alla Scuola Media di Valvasone, dove il poeta-professore insegnò  dall’ottobre 1947 all’autunno del 1949. Ne fu licenziato, come è noto, a seguito dello scandalo di Ramuscello, nonostante fosse un insegnante “mirabile” a detta del preside Natale De Zotti e fosse amatissimo dagli allievi e dalle loro famiglie, che perfino chiesero pubblicamente, ma invano, che quel maestro non venisse allontanato e con tanto disonore.
Era per tutti  il “5 P” – Professore, Poeta, Pier Paolo Pasolini – uomo e maestro incantevole che emerge dai ricordi, appunto, di Elda Schierano, classe 1928, oggi residente a Cividale del Friuli e a suo tempo collega di insegnamento del poeta nel 1947-48.  Riandando all’indietro, Elda ripercorre con orgoglio e modestia insieme  la storia della sua giovinezza di ragazza povera, sfollata dall’Istria, ferita dalla follia nazista ma riscattata nel dopoguerra dallo studio e dall’impegno, che infine le fecero conquistare la dignità di un posto di lavoro da insegnante, dapprima a Cividale e a Valvasone. In quest’ultima sede,  in una scuola spartana senza acqua corrente ma viva di sperimentazioni da pedagogia “attiva”, fu al fianco del giovane Pasolini, che spiccava con evidenza per i modi naturalmente autorevoli e per i metodi sperimentali, spinti fino al punto di organizzare un teatro all’aperto in latino. Ciò avvalora la tesi sulla centralità della vocazione  teatrale nell’esperienza giovanile di Pasolini, che fu drammaturgo fertilissimo (anche al di là de
I Turcs tal Friúl, stesi nel maggio 1944), “regista” di rappresentazioni e di cori popolari, allestitore tuttofare e interprete con i suoi allievi di Versuta della favola I fanciulli e gli elfi (1945) e, come qui appare, anche pionieristico promotore del potenziale didattico della drammatizzazione.
Ma, al di là del contributo di conoscenza di questi frammenti di memoria e ora senza voler indulgere alla retorica dei sentimenti, emerge qui lo spaccato di un’Italia gentile, commovente e ingenua, un’Italia del passato che, anche nel Friuli di paese caro a Pasolini, profuma di poesia.
Un grazie agli amici Enrica Gri e a Adriano Truant che hanno permesso la conoscenza di questa storia e di Elda, sua delicata protagonista (Angela Felice).

 

Storia del mio primo anno di insegnamento, 67 anni fa
di Elda Schierano

Mi chiamo Elda Schierano e sono nata il 4 luglio 1928 a Udine, da madre friulana e padre piemontese. Ho frequentato le scuole primarie e secondarie a Udine, queste ultime presso il famoso Istituto tecnico femminile “E. Bianchini”, che abilitava all’insegnamento dell’Economia Domestica nelle scuole di primo grado della Repubblica. Mi sono diplomata a 19 anni con buoni voti nell’anno scolastico 1946-1947.
La mia famiglia era molto povera (il mio papà faceva l’operaio), il flagello della guerra ha colpito tutti. Siamo scappati dalla Slovenia nel 1943 e, profughi giuliani, siamo stati accolti nella casa dei nonni materni, temporaneamente. Nel settembre 1943, Nimis, il paese dove abitavamo, ha subito nel suo martirio anche la separazione dei familiari dai 16 anni di età (maschi e femmine) ai 45 anni, portati in Germania nei campi di lavoro o di sterminio. Fra questi siamo stati prelevati anche mio padre ed io, entrambi in età da lavoro. Avevo appena compiuto 16 anni;  minuta e piccolina ne dimostravo di meno. Siamo stati incolonnati e, a piedi, accompagnati da uomini armati fino a Udine, scortati a cavallo da truppe cosacche. Ci hanno incarcerato per più giorni senza mangiare né bere. Dopo varie e sconcertanti peripezie, entrambi siamo stati liberati in tempi diversi, miracolosamente. Sono stati anni di guerra durissimi, di stenti, paure e bombardamenti; il diploma, posso dirlo senza falsa modestia, è stato sudato e meritato, a denti stretti.
Conclusi gli studi, mi sono subito prodigata alla ricerca di opportunità di lavoro, tra di esse la possibilità di una sistemazione in Svizzera, come operaia. Avevo bisogno urgente di lavorare per aiutare la mia famiglia a ricostruire il necessario. Avevo due fratelli più piccoli e la casa, come quasi tutto il paese, bruciata dalle truppe tedesche che si accanivano contro la popolazione giudicata partigiana. Ma durante le vacanze estive, una ben più promettente offerta mi si è presentata: un  posto vacante quale assistente di una cattedra di Economia Domestica. Più precisamente avrei dovuto aiutare la titolare della cattedra ad organizzare corsi per donne disoccupate. Le iscrizioni sono state numerose e più di 60 donne di età superiore ai 18 anni vi hanno preso parte.  Ho accettato senza esitazione l’incarico, mi sentivo preparata e alquanto sicura, non conscia del fardello a cui andavo incontro. Tra i miei compiti si annoveravano l’insegnamento di bilancio economico, rigovernatura, igiene e rammendo, corsi di cucina e infine attività di segreteria. Le allieve “in cambio della frequenza” percepivano una piccola quota giornaliera dal Comitato organizzativo regionale. Il corso è durato quasi un anno, dall’autunno alla primavera del 1947. Il mio stipendio inizialmente ammontava a 13.000 lire, alla fine del corso è stato innalzato a 18.000 lire, quale riconoscimento del buon lavoro svolto. Non nego la soddisfazione per i risultati ottenuti e per l’esperienza acquisita, valutabile ai fini dell’insegnamento futuro.
Sono così entrata nelle graduatorie del Provveditorato, speciali in quanto profuga giuliana: avevo precedenza assoluta. Qualche giorno prima dell’inizio della scuola (che cadeva all’epoca il 15 ottobre) ho ricevuto per telegramma la nomina per l’insegnamento del corso di Economia Domestica di 6 ore settimanali presso la Scuola Media di Valvasone e del corso di Economia Domestica e Lavori Femminili di 12 ore settimanali presso la Scuola Avviamento professionale femminile a Cividale del Friuli; tempo 24 ore per decidere l’accettazione. Emozionatissima ho accettato entrambe le sedi: assicuravo il mio impegno a entrambi i presidi. Nonostante la giovanissima età mi facevo carico di una notevole mole di lavoro; la sede di Cividale iniziava con me la sua sezione femminile.
Contemporaneamente mi sono presentata alla Presidenza della scuola media di Pordenone da cui dipendeva la sezione distaccata di Valvasone, dove mi spettavano due ore settimanali di Economia Domestica per classe (prima, seconda e terza) distribuite in due giornate. L’edificio scolastico, per la precisione, era ubicato tra Valvasone e Arzene, abbastanza isolato, con solo qualche costruzione nelle vicinanze. La sede conteneva l’alloggio della bidella e, credo, della sua famiglia, le aule, la sala insegnanti e la palestra. La scuola non era fornita di acqua corrente, ma munita soltanto di un pozzo nel cortile. L’acqua era potabile, profonda e freddissima, e per prenderla veniva calato un secchio appeso ad una catena. Il corpo insegnante era composto da 10 professori. Il Preside compariva spesso; un insegnante, il più anziano in servizio, lo sostituiva al bisogno, nelle vesti di capo-gruppo. Fra gli insegnanti di Lettere spiccava Pier Paolo Pasolini, noto come poeta e scrittore, il quale prestava servizio in una classe seconda, maschile; ma di lui parlerò più avanti.
Il principale problema era raggiungere la scuola, in quanto il paese, situato a 6 km da Casarsa, era privo di collegamenti compatibili con i miei orari di lavoro (ero riuscita ad avere le ultime due ore del mattino e la prima ora del pomeriggio). Partivo da Cividale alle sei e mezza del mattino, a Udine prendevo il treno per Venezia e scendevo a Casarsa della Delizia. Dopo di che, non essendoci  mezzi per Valvasone, ero costretta a raggiungere la scuola a piedi su strada non asfaltata per 5-6 km, arrivando in sede all’ora di ricreazione con temperature inclementi. Portavo un cappotto ricavato da una coperta, confezionato da un sarto, quindi molto rigido: modello maschile per la precisione, con martingala dietro. Camminavo velocemente e la pelle del collo sfregata dal colletto mi pizzicava e si copriva di arrossamenti e vesciche (come d’altronde i miei piedi). In primavera ero più fortunata, beneficiavo del passaggio offerto da un carro (trainato da cavallo) che trasportava verdura a Valvasone: un vero sollievo. Per il ritorno, invece, una mia cara alunna mi portava in bicicletta (da uomo) fino alla stazione ferroviaria di Arzene da cui ripartivo per arrivare a casa alle sette di sera. Mi dividevo così tra la Scuola Media di Valvasone e l’Avviamento di Cividale dove abitavo.
Il Provveditorato agli studi voleva da noi insegnanti un esperimento di scuola attiva. Alla fine dell’anno scolastico, ognuno di noi doveva dare prova del suo operato teorico, ma anche pratico, dunque non fine a se stesso. I ragazzi dovevano dimostrare senso critico e personale in ogni esposizione e in tutte le materie, anche con una mostra con esiti pratico-teorici. Pasolini ha fatto  teatro in latino, il professore di educazione fisica ha organizzato prove ginnico-sportive, l’insegnante di matematica una gara di numeri e così via: tutto da verbalizzare, visionare in Provveditorato e inviare al Ministero della Pubblica Istruzione. Per l’evento sono stati invitati i cinque Presidi delle Scuole Medie di Udine e il Provveditore agli Studi. Eravamo privi di tutto. E’ stata un’impresa per niente facile! Ognuno si è portato da casa il proprio “coperto”, comprese le posate. La bidella ha fornito gli utensili per il corpo insegnante e la commissione, nonché il padellame e un fornello a gas a tre fuochi. Il numero dei commensali si aggirava intorno all’ottantina, tutti fortunatamente sono stati molto comprensivi e pazienti. I ragazzi si sono mantenuti educati e rispettosi, nonostante l’appetito…Il menù consisteva in un primo piatto di penne al ragù, in una seconda portata di involtini di vitello e verdure verdi, infine, in un dolce, una zuppa inglese preparata e cotta a casa mia e poi farcita e decorata sul posto. L’adrenalina e la tensione erano indescrivibili: ci siamo improvvisati camerieri e cuochi provetti. Al termine della giornata, ho ricevuto un bel mazzo di fiori dal Provveditore, in origine a lui offerto.

Pasolini con i colleghi di Valvasone. Elda Schierano è al centro nella prima fila
Pasolini con i colleghi di Valvasone. Elda Schierano è al centro nella prima fila

Come in precedenza accennato, tra i colleghi di Valvasone, Pasolini spiccava per la sua didattica particolare, in special modo per l’italiano e il latino che impartiva con il supporto della drammatizzazione. I ragazzi erano entusiasti, anche perché li faceva spesso recitare all’aperto, tempo permettendo. Faceva loro conoscere i testi latini e le sue poesie, anche quelle bellissime in friulano, con la sua dizione e quel suo modo chiaro e corretto di recitare. Faceva amare lo studio anche a coloro che non erano dotati, riuscendo sempre ad ottenere il massimo, oltre che a farsi amare. Era il “5 P”: Professore, Poeta, Pier Paolo Pasolini. All’epoca l’opinione pubblica iniziava ad interessarsi alla sua produzione poetica, giornalistica e in genere alla sua attività di critica. Quando ho saputo da un collega che Pasolini era stato radiato da tutte le scuole della Repubblica, ne sono rimasta molto addolorata. La Scuola ha perso con lui un grande insegnante. E’ stato accolto a Roma da Alberto Moravia, Elsa Morante, Dacia Maraini … E’ stato un personaggio di enorme spessore, spesso discusso per il suo comportamento provocatorio e per questo bersaglio di sdegno. E’ morto in modo drammatico nel novembre del 1975, in circostanze ancora da chiarire.
Il completamento dell’orario di cattedra lo svolgevo a Cividale, in una classe prima, per l’insegnamento di Lavori Femminili, Economia Domestica e Disegno Professionale. A questa nuova sezione si sono iscritte tredici bambine, quasi tutte undicenni e molte provenienti da famiglie modeste delle Valli del Natisone. A differenza delle alunne di Valvasone, i cui abiti erano sempre curati (il grembiule nero e il colletto bianco puliti e stirati) con le cartelle provviste del necessario per svolgere i compiti, le alunne della Valli del Natisone erano più povere. Venivano a scuola in bicicletta, indossando una mantella con la quale coprivano il manubrio e i libri, legati con una cinghia e lo spago. Ai piedi portavano dei grossi calzettoni di lana fatti a mano e gli zoccoli, che risuonavano sul pavimento in legno della scuola. In testa i berretti coprivano loro le orecchie, lasciando scoperto il volto arrossato dal vento freddo e costante del Matajur.
Ricordo in particolare una bambina di Mersino, Maria Pia, che ogni giorno percorreva a piedi un sentiero di montagna per recuperare la sua bicicletta, depositata e custodita presso una famiglia che abitava più a valle. Pedalando raggiungeva la fermata della corriera ed infine con essa si recava a scuola, ogni mattina, in orario. Non ha mai fatto un giorno di assenza. Dopo le scuole medie ha proseguito gli studi, si è diplomata in ostetricia, ha operato sulle navi transatlantiche turistiche e, così facendo, ha potuto aiutare la sua famiglia e far studiare i suoi fratelli.
Le lezioni duravano otto ore al giorno, fatta eccezione per il sabato, in cui la scuola terminava prima. Il pranzo era al sacco. La struttura chiudeva, infatti, all’una per riaprire alle due fino al termine delle lezioni; se pioveva o faceva freddo, pazienza. E così per quasi tutte le bambine che abitavano lontano. Nessuno si lamentava mai. Alla fine dell’anno abbiamo organizzato una mostra per incentivare le iscrizioni l’anno successivo e permettere al corso di proseguire. L’esibizione è stata un successo e l’anno seguente le domande sono state talmente numerose che si sono formate due classi prime, e tutto grazie a quelle bambine di undici anni, così capaci e volenterose, alla scoperta di cose nuove, di una creatività ricca e fertile.