Ieri, oggi e domani. La Napoli di PPP e Mastroianni vs quella di oggi

Francesco Pipitone, in un articolo pubblicato su www.vesuviolive circa due anni fa, traccia un confronto tra la Napoli vitale, verminosa e paradossalmente gentile di Pasolini e Mastroianni e quella del presente, inquinata e stravolta dalla modernità. Sono moltissime le differenze, ma sotto il Vesuvio resiste comunque uno zoccolo antropologico di inconfondibile verità umana che, forse, potrà fare da barriera anche nel futuro contro l’assedio dell’alienazione globalizzata. A suo modo, è un Sud che dà dei punti al Nord. (af)

 Globalizzazione: la Napoli di Mastroianni e Pasolini e quella di oggi
di Francesco Pipitone

www.vesuviolive.it – 4 febbraio 2014

«A Roma per esempio, in Via del Corso, sentii dietro di me uno che fece: “ Ammazza le rughe, hai visto come s’è invecchiato!”,  detto forte, perché io potessi sentire. La stessa cosa mi è accaduta a Napoli: “ Marcellì, ci siamo fatti vecchierelli, eh? Lo volete un caffè? “. La vedete la differenza, che garbo, che gentilezza d’animo. Io amerei vivere su un pianeta tutto napoletano, perché so che ci starei bene».
È questo il saluto di Marcello Mastroianni a Napoli (dove ha girato diverse pellicole, tra le quali l’indimenticabile  Matrimonio all’italiana  e il primo episodio di Ieri, oggi e domani, entrambi in compagnia di Sophia Loren e con la regia di Vittorio De Sica), nel film-documentario del 1997 intitolato Mi ricordo, sì, io mi ricordo, dove ammira la città in quanto la meno americanizzata d’Italia e d’Europa, ponendo l’accento sulla natura del napoletano, fortemente attaccato alle proprie tradizioni, alle proprie radici nonostante la globalizzazione.

Marcello Mastroianni in "8½" (1963) di Federico Fellini
Marcello Mastroianni in “8½” (1963) di Federico Fellini

Lo stesso concetto fu formulato da Pier Paolo Pasolini almeno venti anni prima, il quale parlò dei partenopei come di una tribù (termine da non intendere in senso dispregiativo) ancora estranea al meccanismo del progresso materiale che si riduceva essenzialmente in omologazione, omogeneizzazione, ovvero perdita della propria purezza, della propria identità. Nel poemetto L’Appennino, contenuto nella raccolta Le ceneri di Gramsci egli definisce Napoli «nazione nel ventre di una nazione», a sottolinearne le peculiarità e l’indipendenza rispetto al resto del Paese dal punto di vista culturale e storico. Nella Napoli degli anni ’70 Pasolini ritrova il mondo delle borgate romane descritte in Ragazzi di vita, pubblicato nel 1955, entra di nuovo in contatto perciò con la primitiva vitalità dell’uomo che nel resto d’Italia e d’Europa va man mano estinguendosi a causa del capitalismo, della globalizzazione, dell’uguaglianza della merce che cancella ogni diversità umana: è qui che irrompe con violenza la contraddizione di Pasolini, diviso tra la lotta per il miglioramento delle condizioni di vita della classe proletaria e la necessità di conservazione della diversità. In quest’ordine di idee si inserisce la scelta da parte di questo autore di ambientare a Napoli e dintorni il film Il Decameron , la traduzione cinematografica di nove novelle delle quali solo tre sono di ambientazione partenopea nell’opera del Boccaccio, tanto che circa la sceneggiatura egli affermò di aver scelto questa città « contro tutta la stronza Italia neocapitalistica e televisiva: niente babele linguistica, dunque, ma puro parlare napoletano», a conferma di un rigurgito verso un tipo di mescolanza che piuttosto che essere arricchimento costituisce depauperamento spirituale. In ogni caso Pasolini non era troppo fiducioso circa la capacità di autoconservazione dei napoletani, poiché il capitalismo e la modernità avrebbero finito per avere il sopravvento su questa “tribù” così come su tutte.
Non è possibile negare che i napoletani di oggi siano diversi da quelli incontrati da Pasolini. La globalizzazione, con le sue merci e la sua cultura, è arrivata e sarebbe inutile retorica enumerarne i segni, ma ciò di cui però Pasolini non ha parlato sono le contraddizioni di una città fondata sui contrasti : se è vero che adesso gli scugnizzi portano scarpe e t-shit americane, è altresì vero che continuano a giocare a pallone e a  sporcarsi per strada e nelle piazze; ci sono famiglie che vivono in bassi perfettamente ammodernati; l’indigenza persiste e con essa l’arte di arrangiarsi, magari con il tentativo di vendere l’ultima meraviglia tecnologica sostituita con una saponetta; i ritmi sono diventati più frenetici ma il tempo per il caffè c’è sempre e si trova ancora chi ne lascia uno sospeso; i giovani “si vestono strano” e ascoltano “musica strana”, ma ‘O surdato ‘nnammurato chi è che non la sa canticchiare? Insomma, i napoletani hanno accolto e trasformato la globalizzazione, l’hanno “napoletanizzata” adattandola al proprio essere, ai propri bisogni che nel frattempo sono mutati.
I napoletani esistono ancora.