I teddy boys inglesi e “La nebbiosa” di Pasolini

www.ilsussidiario.net –  24 novembre 2013

La recente pubblicazione della sceneggiatura La nebbiosa di Pasolini (il Saggiatore, 2013) invita a ricercare le radici e le motivazioni inglesi del fenomeno generazionale dei teddy boys. Un accenno a questi aspetti è comparso sul sito www.ilsussidiario.net del  24 novembre 2013. Sullo sfondo resta Pasolini, che anche in quel caso brilla come acutissimo sismografo dei mutamenti del costume giovanile del suo tempo.

Copertina de “La nebbiosa”, Il Saggiatore (2013)

Forse i teddy boys nostrani raccontati da Pasolini in La nebbiosa – sceneggiatura di film commissionata e mai portata fedelmente sullo schermo, edita recentemente dal Saggiatore – sono uno dei principali segni di importazione culturale post-bellica e di omologazione della nostra identità. È “omologazione” il termine caro all’autore, grazie al quale egli sintetizza il fenomeno maturato sul suolo patrio negli anni successivi alla seconda guerra mondiale e che si svilupperà sempre più vistosamente, dai primi anni Sessanta in poi, come lo scivolamento drammatico e irreversibile della nostra società per lo più contadina verso l’assuefazione al potere consumistico.
Un potere strisciante da cui, se Pasolini ne vede le colpe fondamentali nelle posizioni opportunistiche e ignave della Dc, la sinistra italiana non può ritenersi vergine.
Negli anni Cinquanta – affermava l’autore – l’egemonia culturale era del Pci, con un’autorità che gli proveniva direttamente dalla Resistenza. Autorità secondo Pasolini che, se con assoluta ostinazione ideologica non avesse svilito la cultura che un popolo di contadini e piccolo-borghesi si portava dietro da sempre, identificandola tout court con la cultura della classe dominante, ovvero con il potere “clerico-fascista”, avrebbe forse potuto svolgere il ruolo che la Dc, a suo parere,  aveva completamente perso.
Verso la fine degli anni Cinquanta (1959) Pasolini colloca, sullo sfondo di una Metanopoli che “saliva”, la narrazione di alcune vicende di giovani legati tra loro da rituali e stili che la stampa d’oltre Manica rimanda come diffusa nella working class youth:  i Teddy boys.
I Teddy boys, caratterizzatisi soprattutto dal 1950 al 1958 in alcune grandi metropoli anglosassoni (Manchester, Londra) e definiti icasticamente “coltelli a serramanico, musica da ballo e completi edoardiani”, secondo quanto titolò “The Daily Mirror’s” nel 1953, avevano deciso con il loro “stile” di rispondere ad un mondo noioso.
Sempre così, ma ad un più alto livello, ovvero a quello delle sartorie di Savile Row, si era voluto rispondere all’austerità portata dal governo socialista negli anni successivi alla seconda guerra mondiale. È appunto qui che si documenta l’ambiguità: stile affettato e pure costoso (una giacca poteva costare ad un giovane ted, nei giorni feriali un commesso spedizioniere, anche 50 sterline, allora non poco), “rubato” alla upper class per esprimere un assoluto contrasto con ogni regola e norma che essa potesse dettare.  E quasi di norma, i ritrovi di quelle che in definitiva risultavano essere vere e proprie gangs di adolescenti finivano in incidenti e ferimenti.