I ricordi di Enrique Irazoqui-Gesù pasoliniano, di Marco Bernardini

Il tour italiano di Irazoqui, indimenticabile Gesù nel Vangelo di Pasolini

 di Marco Bernardini

www. repubblica.it  – 30 settembre 2014

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Tra  l’Istituto Stensen di Firenze (30 agosto), la Biennale di Venezia (31 agosto), I Cantieri Zisa di Palermo (27 settembre), il Circolo del Cinema di Lucca (2 ottobre), un lungo tour italiano per Enrique Irazoqui, mirabile incarnazione di Gesù nel film-capolavoro di Pasolini  Il Vangelo secondo Matteo. Per questo testimone del cinema pasoliniano e attore per caso, si tratta di una testimonianza  immancabile, dato che ricorre quest’anno l’anniversario dei 50 anni dall’uscita della pellicola, che non a caso è  proiettata in versione restaurata in varie città italiane. Su quella sua esperienza pubblichiamo qui  le parole rilasciate all’edizione fiorentina de “la Repubblica”.

 

«Soltanto  per caso, una volta uscito di galera, riuscii a scappare dalla Spagna per raggiungere Parigi». Per Enrique Irazoqui, che a fare l’attore manco aveva pensato, le “guide” inconsapevoli furono due coetanei fiorentini arrivati a Barcellona con il visto di turisti ma in realtà attivisti del Partito socialista italiano. «Un giorno prima di Natale, era il 1963, venni convocato nella sede clandestina del sindacato del quale ero segretario. Mi dissero che, da qualche tempo, due italiani andavano in giro facendo strane domande sul movimento antifranchista. C’era il sospetto che fossero due spie. Indagai, li frequentai e ogni dubbio venne fugato. Si trattava di due compagni. Ebbi un’illuminazione. Chiesi loro di accompagnarmi in Italia dove, ne ero certo, avrei potuto trovare nuovi sostegni economici per la causa antifranchista insieme con la disponibilità di intellettuali disposti a venire in Spagna per alcuni cicli di conferenze. Mia mamma era veneta e io sapevo bene l’italiano. Arrivai a Firenze con i due compagni, e la prima persona con la quale entrai in contatto fu l’allora sindaco Giorgio La Pira. Fu con lui che scesi a Roma».

Si infoltì il gruppo, nella capitale. Tutti quanti decisero di raggiungere in autobus il numero 9 di via Eufrate, all’Eur. C’erano La Pira, Elsa Morante con il suo ex marito Alberto Moravia, Vasco Pratolini, Giorgio Manacorda e naturalmente il giovane Enrique. Suonarono il campanello di Pasolini che li aspettava per cena. «Venne ad aprirci un ragazzo che aveva una selva di capelli neri in testa. “Niné,  falli entrare”, disse una voce dalla cucina. Era il regista che si rivolgeva a Davoli. Il suo ragazzo. Ninetto aveva quindici anni. Scandaloso? Affatto. In seguito scoprii che quello di Pasolini con lui era un rapporto puro che nulla aveva a che fare con il plagio. Cenammo. Pier Paolo non mi staccava gli occhi di dosso. Ad un tratto disse forte: “È lui il mio Gesù”. Io mi misi a ridere. Per nulla al mondo avrei fatto l’attore. Alle cinque del mattino eravamo ancora lì a discutere. La più infervorata per convincermi era Elsa Morante, che poi sarebbe diventata mia grande amica. Crollai che stava albeggiando sotto il peso della promessa fattami dal produttore Alfredo Bini. Tutti i soldi che avrei dovuto incassare sarebbero andati al mio sindacato. Ne valeva la pena».

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Per Enrique, irriducibile ateo, non fu facile rivestire i panni di Gesù. E ancora oggi dice: «Il fatto di aver fatto rivivere Cristo non mi ha cambiato la vita. Mi sono sempre attenuto a ciò che, fin dall’inizio, mi avevano promesso sia Pasolini sia Elsa Morante: il loro sarebbe stato un Gesù gramsciano. Certo provai un grande imbarazzo quando, dopo aver girato una scena nelle campagne di Barletta, un gruppo di donne in nero si inginocchiò intorno a me pregandomi di fare un miracolo. La mia vita, invece, venne segnata da Pier Paolo e da Elsa. Lei, per me, fu un autentico dono del cielo, un’amica straordinaria. Lui, un ciclone in grado di far vacillare ogni certezza. “Senorito”, mi chiamava alludendo alle mie origini borghesi. Cosa che mi faceva incazzare, perché io non ero così. Poi, il giorno in cui si schierò con i poliziotti “figli del popolo” che venivano picchiati dagli studenti figli dei ricchi, lo invitai in Spagna per vedere cosa faceva la milizia franchista. Eppure, tra mille contraddizioni, l’ho amato. Ho amato soprattutto il Pasolini poeta oltre che l’autore di Uccellacci e uccellini. Il resto non mi ha mai interessato e le 120 giornate di Sodoma non l’ho visto».

Già, la vita non è cinema. Specialmente non per Irazoqui, ex combattente per un mondo migliore: «Abbiamo perso definitivamente e su tutti i fronti. L’unica soddisfazione è poter dire che non ho mai ceduto alle lusinghe del nemico». E si lascia andare nel suo mondo virtuale. Quello degli scacchi, dove è un campione. Muove i pezzi nel suo appartamentino affacciato sul mare di Cadaqués da dove, talvolta, si possono vedere le ombre di Picasso, Dalì e Lorca che  chiusero lì il loro viaggio terreno.