“Fascista”, un film di Nico Naldini

Basato interamente sul montaggio di ampi e rari brani dei cinegiornali Luce realizzati durante il Ventennio, Fascista fu realizzato da Nico Naldini quando lavorava come capo ufficio stampa per la PEA di Alberto Grimaldi, la società che finanziò gli ultimi quattro film di Pasolini e che produsse anche Fascista. Il commento, scritto dall’autore, venne letto da Giorgio Bassani e costituiva una sorta di contrappunto critico alla propaganda mistificatoria degli speaker del regime.

Pasolini su Fascista (1974) di Nico Naldini

[estratto]

«(…) Vedendo quella prima sequenza [del film Fascista di Nico Naldini], ho osservato le facce dei fascisti e della gente che, partecipe o indifferente, li attorniava. Le persone “importanti” (professori, avvocati, ecc.) avevano delle facce da imbecilli, al solito. (…) Sono proprio quegli imbecilli, magari rozzi, ingenui, e, oltre tutto, anche in buona fede (non in quanto fascisti, dico, ma in quanto piccolo – e medio – borghesi). Ma intorno c’erano le facce dei sicari fascisti. Facce magre, ossute, con occhi fortemente disegnati. Facce tirate dalla vita povera, dalla fame. Macerate da abitudini nate dall’osservanza della più stretta economia, dal bisogno (lettucci, stanzette polverose, stanzoni vuoti, niente riscaldamento, un paio di calzoni e una camicia, l’osteria, la messa domenicale, la periferia della città quasi campestre). Insomma, ciò che quei fascisti erano socialmente, aveva infinitamente più forza di ciò che erano ideologicamente. Erano lavoratori poveri e piccoli borghesi poveri come loro. Facevano la marcia su Roma come una scampagnata; al massimo si può pensare che essi, culturalmente, imitassero l’impresa fiumana. La maggior parte erano chiaramente “assoldati”, come soldati di ventura di second’ordine.
… le folle oceaniche… Questa prima impressione di trovarsi di fronte a un tipo antropologico di italiano che è stato così per secoli e secoli, ed è cambiato solo in questi ultimi dieci anni, dura e si consolida durante tutto il film di Naldini. Questa inoffensività, non bonacciona o qualunquistica , ma “fisica” degli italiani in camicia nera, si estende anche ai capi. I famosi gerarchi, che io ricordavo come il massimo della ferocia e del ridicolo, sono invece dei patetici imbecilli: qualcuno di loro fa addirittura una specie di schifosa tenerezza, tanto è stupido e visibilmente attaccato alla greppia, come un allampanato animale. C’è qualche sguardo gettato da costoro su Mussolini che è un capolavoro di recitazione involontaria. È lo sguardo di un cane che sa un po’ di latino gettato su colui che gli procura il cibo.
Ad accentuare questa inoffensività di poveraglia e di piccola borghesia affamata, è l’inevitabile confronto sia con i fascisti, che con la folla e i “gerarchi” attuali. Rispetto ai fascisti attuali, che sono ormai dei veri e propri nazisti, quelli hanno un’aria casalinga che stringe il cuore (tanto più quando il loro entusiasmo fascista si manifesta in sorrisi sinceri di vecchia felicità popolana o contadina); rispetto alla folla attuale, quella folla (non necessariamente fascista) è piena di dignità; in essa contano valori di cui il fascismo approfittava degradandoli. Infine rispetto ai “gerarchi” attuali quei “gerarchi” fanno pena. Cosa possono aver rubato, in quell’Italia miserabile? Qualche miserabile gruzzoletto di palanche. Lo si vede. E il pensiero corre alle ruberie, alle grassazioni, alle violazioni, ai delitti dell’attuale classe dirigente, fatta di parassitismo e di clientele, come ormai i dirigenti democristiani stessi ammettono, senza vergognarsi, e invece di togliersi per sempre di mezzo. Il fascismo non è stato alle origini che umile manovalanza del padronato. Alla fine è stata una bieca mascherata assassina. Ma a questo punto il film finisce.
Naldini ha preso delle decisioni stilistiche direi ferree nel progettare il film. Niente retorica antifascista, niente facile “ridicolo” sul fascismo, rappresentazione del fascismo attraverso materiale elaborato dai fascisti stessi, cioè attraverso la loro idea falsa e vera di sé. In tutto questo però Naldini è stato travolto da un dato incalcolabile: cioè dall’accumulazione di un materiale che aveva quasi costantemente per oggetto il rapporto pubblico tra Mussolini e le folle cosiddette oceaniche. Alla fine, e proprio filmicamente, il film è un film sul rapporto tra un Capo e il suo Popolo. (…) Rapporto inaudito, assurdo, manifestamente arrangiato, ritagliato e mistificato, ridicolo, bieco: ma in qualche modo, quello lì, proprio quello lì, come compare nella realtà fisica dei materiali del film. Materiali che si accumulano, e infine esplodono in una espressività abnorme e involontaria. È stato un terribile gioco, e il film di Naldini gioca con questo gioco. Per questo è un film bellissimo. Ma anche pericoloso, perché sono i destinatari in buona fede che accettano il gioco. Quelli in cattiva fede fanno il “loro” gioco, cioè, come si sa, non sanno giocare. Il fascismo è un tetro comportamento coatto».

Pier Paolo Pasolini, da Poveri ma fascisti, «Il Messaggero», 17 ottobre 1974.