Dacia Maraini apre il progetto per PPP di Bologna

Mercoledì 7 ottobre, alle ore 18, presso la Biblioteca Renzo Renzi della Cineteca di Bologna (piazzetta Pasolini 3/b) è stata Dacia Maraini a inaugurare il ciclo di incontri e conferenze dedicati alla  figura  di  Pier Paolo Pasolini, promosso dal Comune di Bologna e dal Centro  Studi  – Archivio Pier Paolo Pasolini della Fondazione Cineteca per ricordare  il  40°  anniversario  della  scomparsa dello scrittore-regista, avvenuta il 2 novembre 1975.
Più  moderno  di  ogni  moderno: questo  il  titolo  che raccoglie l’ampio ventaglio  di iniziative legate a Pasolini, la prima delle quali è il ciclo di conferenze curate dal Centro Studi – Archivio Pier Paolo Pasolini di Bologna Pasolini  poeta dell’eresia, di cui Dacia Maraini è stata appunto la prima ospite.
Nella  conferenza  Pier  Paolo  Pasolini  e  il  suo  doppio, la scrittrice ha preso  le  mosse dalla figura del doppio che attraversa l’intero romanzo incompiuto  di Pasolini, Petrolio (scritto tra il 1972 e il 1975): non solo il  protagonista  ha  una  doppia natura sessuale, maschile e femminile, ma anche   la   realtà   è   sdoppiata,   tra  l’universo  ambiguo  e  torbido dell’industria,  con gli  interessi che gravitano intorno al petrolio, e gli intrighi,  gli  omicidi  o  i traffici di corruzione che si consumano nel mondo  politico  e  finanziario,  fino  ad una serie di visioni – di grande forza  espressiva  – dove Pasolini sovraimprime la descrizione dell’immagine dell’Italia popolare di un tempo alla degradazione infernale attuale.
Ma  il tema del doppio attraversa in realtà l’intera opera di Pasolini e la Maraini  ha ripercorso anche le poesie della Nuova gioventù (1973-1974) e la figura del “doppio” come chiave dell’opera del poeta.

Un contributo
Dacia  Maraini  intervistò  Pasolini nel 1971: l’intervista confluì poi nel volume E tu chi eri? (Bompiani, Milano 1973)
Eccone un estratto:

Sei nato a Bologna, vero? In che anno?
Nel 1922.

Qual è il primo ricordo che hai della tua infanzia?
Mi  ricordo  di  quando avevo un anno. Ricordo la camera dove dormivo. Era  la  sala da pranzo e la mia culla stava     in un angolo addossata al muro.  Di  fronte c’era una grande alcova di legno dove dormiva la mia nonna.  Ricordo        anche  un  divano  che poi ci ha seguiti per tutta la      vita.  Il  bracciolo  di  questo  divano  si  rovesciava e scopriva la  struttura  di  legno.  Io  su  questo  legno  disegnavo  con la matita un’automobile e la chiamavo Ru-pepé.

Hai una memoria molto buona. Ricordi altro?
Ricordo  i giardini Margherita; una strada di Bologna dove passeggiavo con una mia zia e davanti a lei usavo impuntarmi perché volevo tornare a  casa  in carrozza. Hanno cercato di convincermi, mi hanno sgridato. Ma ho vinto io. I miei capricci erano violenti e assoluti.

Tuo padre che mestiere faceva ?
Mio padre era ufficiale di fanteria. Nei primi anni della mia vita per me  lui  è  stato  più  importante  di  mia  madre.  Era  una presenza  rassicurante,  forte.  Un  vero  padre  affettuoso  e  protettivo. Poi improvvisamente, quando   avevo  circa  tre  anni,  è  scoppiato il conflitto.  Da  allora  c’è  sempre  stata una tensione antagonistica,   drammatica, tragica fra me e lui.

A Bologna quanto siete rimasti? 
Solo  un  anno  e  mezzo.  Poi  siamo  andati  a  Parma,  a Belluno, a      Conegliano.  Ogni  anno  cambiavamo città. Di Parma mi ricordo solo un  porcospino.  Ricordo  un  grande  viale  di  periferia e in mezzo alla strada  un  porcospino.  Ero  molto  incuriosito  da quell’animale. Ma quello  che  mi colpiva di più era il suo nome. Mi chiedevo: ma perché  porco?

A che età hai cominciato a parlare?
Prestissimo. E ho imparato a scrivere a quattro anni.

Com’eri da bambino?
Come   adesso.   Solo   più   buffo.  Ero  ingenuo,  credulone.  Molto  capriccioso.  Mi  entusiasmavo  facilmente. Volevo capire le cose, ero  curioso e testardo.

Eri chiuso?
No. Ero timido. Impacciato.

Cos’è che ti piaceva di più al mondo a quell’età?
Mi piacevano le storie, i racconti, il sapere. Le nozioni sul mondo.

Tua madre ti raccontava delle storie?
Sempre.  Mi  raccontava  storie,  favole, me le leggeva. Mia madre era come  Socrate  per  me.  Aveva  e  ha una visione del mondo certamente idealistica  e  idealizzata.  Lei  crede veramente nell’eroismo, nella  carità,  nella pietà, nella generosità. E io ho assorbito tutto questo in maniera quasi patologica.

Tua madre ha mai lavorato?
Sì,  ha  fatto la maestra. L’anno dopo, a Conegliano, è cominciata una  serie  di  sogni  in  cui  sognavo  di  perdere mia madre e l’andavo a     cercare  in una città che era Bologna. La cosa strana è che Bologna io     me  la  ricordo soprattutto attraverso quei sogni. L’incubo finiva con     delle  scale  che  io  salivo  correndo,  sempre  cercando  mia  madre     disperatamente.  Poi  mi  svegliavo  nel  letto  dei miei genitori. In     quell’epoca è cominciata una forma di nevrosi cardiaca. Avevo imparato che il cuore è il motore della vita ed ero preso dall’improvvisa paura   che smettesse di battere.

Quanti anni avevi?
Quattro.

E dopo ne hai più sofferto di questa paura?
Sì,  circa  un  anno  dopo a Casarsa, in seguito a non so che disastro economico.  Mio  padre aveva fatto dei debiti ed era in mezzo ai guai.     Mia  madre  è  tornata  a  fare la maestra. In quell’epoca dormivo nel  letto con lei.

E poi hai sofferto ancora di tale nevrosi?
Sì, ancora una volta mi ha ripreso a Bologna, quando avevo diciassette anni.  Una  notte mi sono svegliato con la sensazione che il mio cuore     non battesse più.

Ma soffrivi veramente di mal di cuore?
No,  fisicamente stavo benissimo. Sono sempre stato forte e sanissimo.  Era soltanto una forma di angoscia.

Tu  una  volta  hai detto che l’angoscia è lo stato naturale della tua vita. Che cos’è che ti fa soffrire?
La mia sofferenza è dovuta al fatto che per me una disgrazia non è mai     quella  disgrazia  lì,  ma  una  disgrazia cosmica, che mette in forse     tutto me stesso. Ogni scacco per me è uno scacco totale.

Ma ne parlava mai, con te, del suo passato tuo padre?
No,  mai.  Mio  padre era un uomo passionale, sensuale, disorientato e     nel  momento  che  ha  abbracciato  l’ordine,  l’ha fatto sul serio. È   diventato nazionalista fascista.

Non ti parlava mai della sua giovinezza?
No.  Era  orgoglioso  delle  sue  origini  nobiliari.  Era  orgoglioso  soprattutto  di  un  fratello  che  si  chiamava Pier Paolo e scriveva  poesie.  Questo  fratello  è  morto a venti anni, in mare, affogato mi pare.

È per quello che ti hanno chiamato Pier Paolo?
Sì. E la cosa strana è che mio padre, per amore di questo suo fratello morto ragazzo, ha appoggiato la mia aspirazione poetica, quasi perfino contro  se  stesso.  Io fino ai sedici anni volevo fare l’ufficiale di     marina.  Lui invece diceva che dovevo fare lettere. Poi naturalmente i suoi incoraggiamenti si sono ritorti contro di lui.

Perché ritorti?
Perché  lui attribuiva alla poesia un carattere ufficiale. Non pensava che  potesse  essere  eversiva,  scandalosa. Lui pensava a Carducci, a  D’Annunzio.

A che età hai cominciato a scrivere poesie?
A sette anni, in terza elementare, a Sacile.

Com’erano queste poesie?
Erano  poesie  “elette”, nella tradizione petrarchesca. Da allora ho scritto sempre. Ho una intera cassapanca di scritti infantili.

Qual è stato il primo libro non per ragazzi che hai letto?
Macbeth.  Improvvisamente  a  quattordici anni, a Bologna, ho fatto il salto  qualitativo. Ho scoperto i Portici della Morte dove compravo i  libri di seconda mano. Ho smesso di credere in Dio. Tutto insieme.

La tua famiglia era religiosa?
Mia  madre  aveva una religione dolce, contadina. Mio padre ci portava     in chiesa, ma era una cosa ufficiale di cui non gli importava niente.

E adesso credi in Dio?
No.  La  fede  mi  è passata così, a quattordici anni, dalla sera alla mattina.

Ma tu hai sempre mostrato attrazione per il cristianesimo.
L’interesse per il cristianesimo è nato dopo la guerra, sotto l’incubo quotidiano  della morte, a contatto con il mondo contadino di Casarsa.  Attraverso l’estetismo ho riscoperto la religione.

Torniamo indietro. Alla quinta elementare.
Alla  quinta  elementare  è  successo  un  fatto  inaudito. Sono stato  bocciato  in  italiano  scritto.  Hanno accusato il mio tema di essere troppo poetico.

Ci sei rimasto molto male?
Malissimo.  Ero  abituato  a  riuscire  bene in tutto, specialmente in italiano.

 

Bologna. "Più moderno di ogni moderno". Manifesto
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