Da “Quo vadis” a PPP. Un secolo italiano di censura

di Fulvia Caprara
www.lastampa.it – 13 giugno 2014

Il gesto dell’ombrello praticato da Alberto Sordi nella storica sequenza dei Vitelloni (accompagnato dall’ironico richiamo «… lavoratoriiii …») rischiò di sparire dal capolavoro di Federico Fellini. Alla fine si arrivò a un compromesso; tagliata dal trailer, la scena restò nel film entrando per sempre nella storia del cinema e del costume italiano. Andò peggio a Quo vadis?, epurato da una serie di fotogrammi considerati peccaminosi, tra cui quello «orgiastico che si svolge sul triclinio», e al Giglio infranto, da cui furono eliminate parti cruciali riguardanti il «maltrattamento della figlia da parte dello snaturato padre».

"Quo vadis?"
“Quo vadis?”

Da Ivan il Terribile fu cancellata la parola «baccanale», da Attila «la scena in cui si vedono due donne seminude apparire a Rinaldo». La censura compie cent’anni e, dall’altra notte, è possibile ricostruirne l’avventurosa epopea visitando «Cinecensura», mostra virtuale permanente dedicata alla «revisione cinematografica», promossa dalla Direzione Generale per il Cinema del Mibact in collaborazione con il Csc e la Cineteca Nazionale, guidata dal conservatore Emiliano Morreale. Attraverso spezzoni di film (300), cinegiornali (80), manifesti pubblicitari (28), pubblicità e cortometraggi (100), la rassegna, ricostruisce, come spiega il Presidente del Centro Sperimentale Stefano Rulli, «un ambiguo concetto di morale, un uso spesso smodato e strumentale della politica, una miopia culturale propria di una burocrazia chiusa in se stessa, diffidente di fronte alle trasformazioni in atto nel Paese». Ne viene fuori, in controluce, «un’Italia viva, creativa, irriverente, che provava, malgrado tutto, a dire cose nuove in modo nuovo».
Dalle forbici dell’istituzione nata il 31 maggio 1914 non si salvava nessuno. Sparivano dai cinegiornali le suore che giocavano a pallone tenendosi ferma la croce sul petto, ma anche un Fausto Coppi disteso e giudicato troppo poco vestito. Ai manifesti poteva succedere di tutto, essere in parte oscurati come quello di Ultimo a tango a Parigi (condannato al rogo dalla Cassazione nel 1976 per «oscenità ed esasperato pansessualismo fine a se stesso»), in cui l’immagine dei due protagonisti nudi e abbracciati venne coperta, oppure decisamente bocciati come quello di Peccato che sia una canaglia, colpevole di mostrare una bella ragazza nuda coperta nei punti strategici dalle assi di legno di un vecchio cartello balneare.
Dopo la fine del fascismo accadde anche che, dalla locandina della Cena delle beffe venisse eliminato con il bianchetto il nome del divo di regime Osvaldo Valenti. In tempi molto più recenti, nel 1996, capita che il poster americano di Larry Flynt di Milos Forman sulla storia dello scandaloso editore della rivista “Hustler”, venga bocciato perché mostra il protagonista a braccia spalancate, sul corpo di una ragazza, esattamente al centro di un paio di slip bianchi: «La censura – dice il super esperto Tatti Sanguineti, autore di Italia taglia – vive e cammina con il  Paese».
Un percorso inarrestabile, che comprende pagine indegne come la legge sull’«esclusione degli elementi ebrei dal campo dello spettacolo», atteggiamenti reiterati, fino a diventare vere persecuzioni, come nel caso di tutta la filmografia di Pier Paolo Pasolini, ma anche di Stanley Kubrick, di Luciano Emmer e di Jacopetti, grandi star come Giulio Andreotti che nel settore ebbe, per un lunghissimo arco di tempo, un ruolo fondamentale. Non solo come autore di provvedimenti censori, ma anche, semplicemente, come presenza in grado di inibire un certo tipo di satira. Sanguineti racconta che Il tassinaro avrebbe dovuto aprirsi, nelle intenzioni degli sceneggiatori Age & Scarpelli, con il senatore a vita che saliva sul taxi e l’autista Sordi che lo accoglieva dicendo: «Ammazza’ quanto è lesto lei a occupare il posto». Ma la battuta non fu mai pronunciata; Sordi stesso chiese che fosse cambiata perché lui di pronunciarla non se la sentiva proprio.
Per orientarsi nell’oceano di immagini della mostra sono state individuate quattro aree tematiche, Sesso, Politica, Religione e Violenza, ambiti in cui la censura ha esercitato al massimo la sua funzione, mentre i principali protagonisti della macchina censoria sono stati raggruppati nelle categorie Parlamento, Cattolici, Produttori e Avvocati. Un intero universo impegnato, da un secolo a questa parte, nel tentativo di orientare le coscienze e inibire il libero arbitrio.