Da PPP a Columbu: il cinema italiano cristologico, di Giammario Di Risio

 

Il cinema italiano cristologico

da Close-up – http://www.close-up.it/il-cinema-italiano-cristologia – 5 aprile 2013, Giammario Di Risio

“D’istinto allungai la mano al comodino, presi il libro dei vangeli che c’è in tutte le camere e cominciai a leggerlo dall’inizio, cioè dal primo dei quattro vangeli, quello secondo Matteo. E dalla prima pagina giunsi all’ultima – lo ricordo bene – quasi difendendomi, ma con gioia, dal clamore della città in festa. Alla fine, deponendo il libro, scoprii che, fra il primo brusio e le ultime campane che salutavano la partenza del papa pellegrino, avevo letto intero quel duro ma anche tenero, così ebraico e iracondo testo che è appunto quello di Matteo. L’idea di un film sui vangeli m’era venuta altre volte, ma quel film nacque lì, quel giorno, in quelle ore”.
A parlare è Pier Paolo Pasolini, l’intellettuale che, nonostante sia passato più di mezzo secolo, ha saputo più di altri registi far slittare il significato della parabola cristologica dalla letteratura alle immagini in movimento. Da questa “confessione”, anche senza aver visto il suo poetico e profondo Il Vangelo secondo Matteo, si comprende la fascinazione che la storia di Yehoshua ben Yosef (denominazione ebraica di Gesù il Nazareno) abbia esercitato su di lui, in un meccanismo che parte dalla genesi letteraria per arrivare alla costruzione, messinscena di un racconto in immagini sincero e dalla grande forza spirituale.
Il cinema cristologico italiano ha in Pasolini un punto di riferimento per stile, autorialità, tecniche di narrazione e attorialità. In questo caso la genesi è il testo di Matteo, di fatto quello, tra i Canonici, più spostato verso la cultura ebraica, in cui emerge un Gesù ostinato e dall’afflato dittatoriale. Perfetta risulta la coniugazione tra immagini e forza della parola, con Gesù, interpretato dallo studente rivoluzionario Irazoqui che, con la sua iconografia sindonica, consente, mediante primi e primissimi piani, di sostenere al meglio la poetica dei contrasti tanto cara a Pasolini. Sul versante ideologico, sfruttando l’impianto ebraico/tradizionalista, ruvidamente Pasolini riesce a criticare la società dei consumi del boom economico senza svilire o strumentalizzare la storia dell’individuo più famoso degli ultimi duemila anni, colui in nome del quale è nato un sistema religioso che da sempre ha stabilito in Italia il suo quartier generale.
L’ultimo film, in ordine temporale, che nelle nostre sale fa lietamente rivivere la storia di Gesù è Su re del sardo Giovanni Columbu, che si inserisce nella poetica autoriale tracciata da Pasolini sia in termini di linguaggio della macchina da presa che per la messinscena.
Una poetica che, a torto o a ragione, non sempre è stata l’unica forma di espressione caratterizzante il nostro cinema cristologico. Sin dai suoi primi passi, il cinematografo infatti ha avuto la necessità di proporre storie già conosciute alle masse per creare affezione e iniziare lentamente un affrancamento dalla letteratura e dal teatro. In quest’ottica, la storia della Passione vivente tramandataci dai Canonici diventa genesi tematica della macchina da presa e, decodificata a mo’ di tableaux vivants, caratterizza i primi anni del muto italiano.
Dal 1897 al 1910 abbiamo in tutto il mondo ben diciotto pellicole che passano a setaccio episodi cristologici con il tema della Risurrezione che diventa, in questa prima fase, collante tra sperimentazione cinematografica e iconografia tradizionale cattolica. Gesù è dunque rappresentato mediante la classica iconografia da santino, e in Italia è il film Passione di Gesù, di Luigi Topi, del 1897, ad aprire le danze.
Nel decennio successivo, mentre Gabriele D’Annunzio fornisce credibilità al cinematografo firmando le didascalie vergate del film Cabiria, il regista Enrico Guazzoni gira la pellicola cristologica Quo Vadis?, in cui è forte lo stile da kolossal, con scenografie sontuose e centinaia di figuranti che opprimono il quadro. Riassumendo, in questa fase il cinema muto italiano cristologico presenta i tre nuclei tematici riscontrabili anche in pellicole straniere: sperimentazione delle potenzialità del cinematografo, narrazione a quadri con l’intento di mitizzare la figura di Gesù e materializzazione del contenitore cattolico come vettore di significazione.
Stiamo parlando di opere in cui il filo d’oro è Gesù. Sfociando poi nell’epoca del sonoro, abbiamo nel 1964 il film di Pasolini, nel 1973, il Gesù di Nazareth di Franco Zeffirelli, un’operazione da quadretto oleografico atta esclusivamente a solennizzare la figura del Messia sulla base dell’opera dei Canonici e l’ideologico Il Messia di Roberto Rossellini, in data 1975. Nel giro di pochi anni si apre una fase in cui è forte la differenza tra cinematografia americana (di stampo industriale) e europea (di stampo autoriale), e il nostro cinema cristologico entra in un quadro economico-produttivo incerto sviluppando pellicole elegantemente confezionate, come Cercasi Gesù di Luigi Comencini, del 1982, L’inchiesta di Damiano Damiani, del 1986 o Il bacio di Giuda di Paolo Benvenuti, del 1988, ma che tuttavia tendono, a differenza di Pasolini, a rappresentare più che evocare, interpretare la parabola cristologica.
Passano gli anni e, tralasciando pellicole caratterizzate esclusivamente dal tema del sacro, non si ritrovano nella nostra produzione film su Gesù. Il nostro cinema inizia a preferire altri contenitori e, vista la necessità di capitalizzare al massimo l’attenzione dello spettatore moderno, la figura del Messia perde di credito tra i cineasti. Ora però, e qui si conclude il breve focus, in sala abbiamo il film di Columbu, un prodotto di grande qualità che potrà raschiare la diffidenza dei nostri registi sull’argomento per aprire una nuova stagione di cinema cristologico. Il tutto in concomitanza con la nuova fase del mondo cattolico, che ha appena abbracciato il nuovo Papa e si appresta a riconfigurare la sua cultura e storia.