Corpi che parlano. Il nudo nella letteratura italiana del Novecento di Marco Antonio Bazzocchi
recensione di Aldo Meccariello
www.kainos.it – in “Kainos”, rivista on line di critica filosofica, Milano, Bruno Mondadori, 2005
Il titolo di bel questo saggio di Marco Antonio Bazzocchi allude ad una inconsueta linea materialistica, a torto minoritaria, che attraversa in lungo e in largo la letteratura italiana degli ultimi decenni, laddove parlare di corpi significa un disinibito sconfinamento in molteplici aree disciplinari. A dire il vero, molti sono gli scrittori italiani (Moravia, Pavese, Gadda, Parise, Volponi, Pasolini, Morante, Calvino) che hanno affrontato in maniera esplicita i temi della sessualità, della nudità e della corporeità, contaminando il nostro Novecento letterario di infrazioni e aggiunte trasgressive, ma mai si è avviata contestualmente una discussione teorica o filosofica su questi temi, come, ad esempio, in Francia con Genet, Bataille, Foucault.
Già Franco Fortini in un celebre scritto del 1961 Erotismo e letteratura, poi posto in apertura di Verifica dei poteri (1965) scriveva:
“Nella letteratura contemporanea, la presenza dell’erotismo non si intende se non la si vede come pretesa contrapposizione di una «verità»[…] alla «falsità» dell’industria ideologica che vorrebbe mediare sesso, erotismo, e amore ed affermare una ipocrita unità dell’esistenza umana”.
In altri termini, per Fortini, esibire i corpi nudi in una società di repressione generalizzata non sempre costituisce una pratica disalienante a patto che passi per l’economia politica e per la sua critica pratica.
Di questo è consapevole Bazzocchi nell’accingersi a far parlare corpi nudi femminili che si materializzano in molte pagine dei nostri più importanti scrittori. La novità teorica è che i corpi nudi posseggano tanta forza di diagnosi nel dare conto dei mutamenti e delle trasformazioni della società italiana anche in una sfida obliqua e perenne col Potere. L’esordio del libro è il celebre discorso sui capelli di Pasolini del 1973 con cui lo scrittore istituiva un vero e proprio ordine foucaultiano del discorso, trasformando i capelli e, di rinvio, il corpo dei giovani in linguaggio.
Bazzocchi concentra l’analisi sui nudi corpi in cui si riconoscono e si condensano esperienze esistenziali e/o ossessioni di molti personaggi letterari.
A partire dal corpo di Cecilia, la conturbante ed inquieta giovane protagonista de La noia, il romanzo di Moravia del 1960 che racconta la crisi di un quarantenne Dino, impegnato in una difficile ricerca nel ricostruire il suo rapporto con il mondo. Cecilia è come un fiore capovolto: a significare la bellezza e – letteralmente – la perversione del personaggio. Cecilia è perversa nel sembrare una cosa e nell’essere un’altra, sembra una bambina ma è una donna, sembra innamorata ma è indifferente, sembra un corpo concreto, ma è un corpo inafferrabile e irrappresentabile. L’Autore viviseziona le pagine moraviane con acutezza e perizia fenomenologica, spiegando come il corpo nudo di Cecilia diventi l’impossibile rappresentazione della realtà nella sua assolutezza quando raggiunge l’estrema significatività nel suo diventare corpo muto e silenzioso. Speculare a questa stupenda immagine moraviana è la descrizione della donna senza gambe, la donna-sgabello, primo esemplare di una lunga serie di freaks che popolano il racconto calviniano degli stessi anni, La giornata di uno scrutatore.
Come è noto, la scena è il Cottolengo, l’enorme ospizio destinato a dare asilo a infelici, minorati e deficienti in cui finisce per caso il povero Amerigo, militante comunista, incaricato di fare lo scrutatore nell’imminenza delle elezioni politiche del 1953 (quelle della legge truffa). In un crescendo contrappunto tra bellezza e mostruosità, Calvino non riesce a concepire un rapporto uomo e donna se non filtrandolo attraverso questo tema dell’anomalia fisica, facendo di queste figure femminili le portatrici nientemeno che di una visione alternativa dell’evoluzione e dell’esistere.
Di corpi scomposti, mostruosi, ibridi, smembrati e ricomposti narra Edoardo Sanguineti nel suo più discusso romanzo del 1963, Capriccio italiano che è la trascrizione onirica di un frammento di vita qualsiasi. A raccontarsi è un uomo in piena crisi coniugale, aggravata dalla terza gravidanza della moglie. Il romanzo è costituito da centoundici frammenti, privi di consequenzialità logica e temporale, che riproducono le caratteristiche del sogno: metamorfosi di ambienti e personaggi, atmosfera nebulosa, luoghi imprecisati, temporalità dilatata, sfumata, ricca di elementi simbolici che tornano ossessivamente, fuori da ogni criterio di verosimiglianza. Tema del libro sanguinetiano – osserva Bazzocchi – è la trasformazione del corpo, a partire da quella del corpo femminile durante la gravidanza, che produce un nuova e più provocatoria immagine dell’umano.
Lungo questa linea di significativa ricapitolazione di una letteratura polimorfa come nuova ipotesi del narrare non poteva mancare la letteratura e il cinema di Pier Paolo Pasolini. Da Teorema al teatro di parola (Affabulazione, Pilade, Orgia, Bestia da stile), dalla Trilogia della vita a Salò, il poeta di Casarsa esibisce corpi in situazioni estreme al confine tra atto sessuale e sacrificio, dove l’erotismo confina ora con la gioia ora con l’annullamento e la distruzione. Poi, dopo l’Abiura dalla Trilogia della vita del 1975, pochi mesi prima di morire, porta Pasolini ad una visione apocalittica dei corpi ormai manipolati e corrotti dal nuovo Potere consumistico. Sono i corpi nudi di Salò letteralmente manipolati, torturati ed espropriati per il piacere depravato dei Signori.
Bazzocchi che è un fine studioso di Pasolini prende spunto dall’ultima sua scandalosa opera per stigmatizzare, in termini foucaultiani, controlli disciplinari, sistemi penali e meccanismi di tortura che, in età moderna, hanno ridotto il corpo umano a pura cosa, a pura merce. Da qui le domande cariche di valenze e di implicazioni conoscitive sulla funzione dei corpi e della loro nuda esposizione nelle scritture narrative e cinematografiche degli ultimi decenni. L’autore non nasconde le pratiche censorie che hanno sempre dominato la nostra letteratura laddove la rappresentazione del corpo rispondeva ai facili stereotipi della bellezza, della perfezione e dell’omogeneità, mentre si occultavano le sporgenze irregolari, gli organi genitali al lavoro, l’espulsione, l’escrezione. Del resto una campionatura significativa che viene segnalata al lettore è tratta da un romanzo di Goffredo Parise, L’odore del sangue (scritto nel 1979 e rimasto inedito fino al 1997), in cui il sesso del giovane amante di Silvia è descritto con una sovrabbondanza di particolari ed è oggetto di ossessione visiva da parte del marito della stessa, fino a quando “l’odore del sangue” che il marito narratore percepisce allude all’odore di morte che inonda Roma invasa dalla violenza di natura fascista. Anche in Parise, come in Pasolini, la sessualità ha un forte legame con il potere, con la perversione morale, con le trasformazioni politiche e sociali, ma soprattutto, in entrambi gli autori, il corpo nudo evoca il mistero e il trauma della sessualità, insomma “un testo troppo immenso per essere interpretato”.
Nell’ultimo capitolo del volume dei sei che lo compongono, Bazzocchi dedica una speciale attenzione ai corpi giovani, esplorando le ultime tendenze della letteratura (Celati, Tondelli, Scarpa, Magrelli) che si limitano, però, a prendere atto della graduale e progressiva smaterializzazione della corporeità in continue e raffinate catene di rappresentazioni. Oggi, infatti, il vortice alluvionale di corpi-simulacri, corpi immagini, corpi pellicole, corpi interscambiabili, corpi transgender ci fa sentire che, forse, non c’è più nessun corpo.
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