Contro il supermaket dell’uso improprio di Pasolini, di Franco Palmieri

Per alcune riflessioni sul permanente citazionismo strumentale di cui Pasolini continua ad essere oggetto, Franco Palmieri prende spunto dalla data del 5 marzo, in cui è caduto l’anniversario della nascita del poeta e insieme si è conclusa la recente competizione elettorale italiana.  Proprio quest’ultima circostanza ha conosciuto durante il suo svolgersi un uso abnorme del nome di Pasolini, strattonato dalle più diverse parti politiche in modi impropri, distorti e falsificanti.
In modo agile, e con il conforto delle analisi dello scrittore Fulvio Abbate e dello storico Giovanni De Luna, Palmieri chiarisce la inequivocabile posizione ideologica di Pasolini e insieme rintraccia le ragioni della sua persistente attualità, spesso a sproposito come avviene oggi, nel coraggio che ne contraddistinse l’opera e nel radicale corpo a corpo con la realtà che ne animò l’impegno politico e civile. Un consiglio, dunque? Prima di citarlo, leggerlo. Integralmente.

Perché Pasolini è il più citato, anche all’indomani del voto
di Franco Palmieri

www.agi.it – 5 marzo 2018

Non solo perché è il 5 marzo, anniversario della sua nascita nel 1922, Pier Paolo Pasolini ha conquistato oggi un trending topic su Twitter. È anche perché la data cade all’indomani del voto politico sortito da una campagna elettorale in cui è stato più volte citato, una campagna che ha attraversato quattro giorni fa un anniversario assai celebrato come il cinquantesimo della “battaglia di Valle Giulia”, da cui l’artista prese spunto per la celeberrima poesia Il Pci ai giovani!!, prendendo parte contro gli studenti e simpatizzando con i proletari poliziotti.
Innumerevoli oggi le frasi di Pasolini citate sui social e tutte leggibili in un senso o nell’altro a seconda del menzionatore. Nei giorni scorsi la più discussa citazione l’ha fatta il leader della Lega, Matteo Salvini, nel comizio a piazza Duomo: «Mi chiedo se questo antifascismo rabbioso sfogato nelle piazze a fascismo finito non sia in fondo arma di distrazione che la classe dominante usa su studenti e lavoratori per veicolare il dissenso».

Rendez-vous con Pound
Per Pasolini, più che per qualsiasi intellettuale italiano, la citazione corrisponde spesso a uno strattone: sono anni che esercita qualche fascino anche sulla cultura di destra e nel 2010 uscì un libro firmato da Adalberto Baldoni e Gianni Borgna, intellettuali delle opposte sponde, intitolato Una lunga incomprensione. Pasolini fra destra e sinistra. Radici di fascinazione che forse si sunteggiano, innegabili, nella meravigliosa intervista che il poeta fece a un gigante del Novecento come il fascistissimo Ezra Pound: il prezioso confronto su alcuni versi dei Pisan Cantos può essere tuttora goduto su YouTube.

Ezra Pound e Pasolini (1967)
Ezra Pound e Pasolini (1967)

«Fu comunista e lo rivendicò»
Una cosa è certa, e questa sottolinea all’AGI lo scrittore Fulvio Abbate, che a Pier Paolo Pasolini ha dedicato diversi libri: fu un comunista senza se e senza ma. Problematico per il partito, ma comunista. «Di Pasolini è stato fatto un uso strumentale, sono state costruite carriere su di lui […], dice Abbate. «La questione è semplice: Pasolini amava contraddirsi e quindi poteva permettersi, essendo un artista, di essere contrario all’aborto così come di prendere una posizione dissonante durante la rivolta studentesca del ’68. Ma gli stessi che lo citano per Valle Giulia, dimenticano che Pasolini era un comunista e sognava l’arrivo di Alì dagli occhi azzurri, ossia di un ragazzo di colore che giungeva fino a noi con le bandiere rosse di Trotsky al vento per ristabilire il germe della storia antica».
Non fu tentato dal fascismo, che – prosegue Abbate – definiva «una banda di criminali al potere». Sarebbe forzatura ricondurlo a essere «un benpensante reazionario, quando la destra andava a dargli del “capovolto”, ossia dell’invertito, alla proiezione dei suoi film. Pasolini rivendica di essere comunista anche l’ultimo giorno della sua vita, quando sarà Gianfranco Spadaccia, purtroppo non lui, a leggere l’intervento che aveva preparato per il congresso dei radicali, alle cui battaglie guardava da “comunista”. Oggi può sembrare risibile, ma i comunisti in Italia sono esistiti e avevano come obiettivo quel cambiare la vita, lo “changer la vie”  rimbaudiano».
Perché la tentazione di citarlo, di appropriarsi di un suo spicchio, è sempre così forte a sinistra e pure a destra? Forse, prosegue Abbate, perché «è stato l’unico intellettuale italiano che si è compromesso con alcune questioni attinenti alla vita civile e al nostro quotidiano politico. Prima di lui solo d’Annunzio, e dopo di lui Sciascia lo hanno fatto. Ma Sciascia si avviluppò in un lavoro da enigmista rendendo ancora più complessi i temi trattati, mentre Pasolini cercò di fare chiarezza».

Pasolini davanti alla tomba di Gramsci
Pasolini davanti alla tomba di Gramsci

Supermarket delle parole
Si lamentava il primo marzo scorso, su «La Stampa», Giovanni De Luna: «Si è aperto una sorta di supermarket Pasolini. Ognuno prende dai suoi lavori quello che gli serve: brandelli di frasi, spezzoni di poesie, piegando le argomentazioni pasoliniane alle proprie strumentalizzazioni, distorcendone il senso, in un’operazione che somiglia molto al modo in cui oggi si confezionano le fake news».
È che Pasolini, più citato che letto, lesse nel bene o nel male l’Italia di tutti, anche quella dei vernacoli, da studioso di poesia dialettale del Novecento, percorrendo la penisola snobbata. E ne percorse pure le spiagge su una Fiat 1.100, nell’estate del ’59 documentando per la rivista «Successo» l’estate del Paese. Cinquant’anni dopo, a quest’avventura lo scrittore Marco Ciriello avrebbe dedicato un libro (Tutti i nomi dell’estate) «che voleva salvare il Pasolini scanzonato, diverso, il poeta e non l’uomo che doveva mostrare il suo coraggio e apparire sempre profetico».
Ci saranno dunque altre campagne elettorali, e altre date, in cui le sue parole se le contenderanno.