Consonanze tra Napoli, Eduardo e PPP, di Marino Demata

Dal blog  htpp://rivegauche-artecinema.info del 4 maggio 2014 riprendiamo un bell’intervento di Marino Demata, che ricostruisce l’amore nutrito da Pasolini per la città di Napoli e per uno dei suoi figli più illuminanti, Eduardo, cui il poeta friulano era legato da profonda stima e amicizia. Quel sodalizio umano e artistico  si sarebbe dovuto cementare ancora di più con il film Porno-Teo-Kolossal, in cui Pasolini pensava di affidare proprio al grande attore napoletano il ruolo del personaggio di Epifanio ma che la tragica morte del regista impedì di condurre in porto. Tra i due grandi artisti Demata  sottolinea tanti motivi di sintonia, sottesi soprattutto da una comune consonanza ideologica intorno alla tematica del sacro.

Pasolini, Eduardo, Napoli. Consonanze ideologiche
di Marino Demata

http://rivegauche-artecinema.info – 4 maggio 2014

Abbiamo parlato della lettera di Pasolini ad Eduardo e dell’invio della sceneggiatura del film che avrebbero dovuto girare insieme [il riferimento va a Porno-Teo-Kolossal, ndr.]. Esiste un’altra lettera, ancora più affettuosa, datata 24 settembre 1975, e cioè pochissime settimane prima del suo assassinio, nella quale il regista invia all’amico napoletano la registrazione su nastro di circa 10 minuti della sua voce che descrive la trama del film:

“Caro Eduardo,
eccoti finalmente per iscritto il film di cui ormai da anni ti parlo. In sostanza c’è tutto. Mancano i dialoghi, ancora provvisori, perché conto molto sulla tua collaborazione, anche magari improvvisata mentre giriamo.
Epifanio lo affido completamente a te: aprioristicamente, per partito preso, per scelta. Epifanio sei tu. Il “tu” del sogno, apparentemente idealizzato, in effetti reale.
Ho detto che il testo è per iscritto. In realtà non è così. Infatti l’ho dettato al registratore (per la prima volta in vita mia). Resta perciò, almeno linguisticamente, orale. Ti accorgerai subito infatti, leggendo, di una certa sua aria un po’ plumbea, ripetitiva, pedante. Passaci sopra. Mi era impossibile – per ragioni pratiche – fare altrimenti.
Io stesso l’ho letto per intero oggi – poco fa – per la prima volta. E sono rimasto traumatizzato: sconvolto per il suo impegno “ideologico”, appunto, da “poema”, e schiacciato dalla sua mole organizzativa.
Spero, con tutta la mia passione, non solo che il film ti piaccia e che tu accetti di farlo: ma che mi aiuti e m’incoraggi ad affrontare una simile impresa. Ti abbraccio con affetto, tuo  Pier Paolo”.

Perché Edoardo? E perché nelle intenzioni del regista il film doveva iniziare da Napoli? Pasolini aveva già in passato fatto ricorso ad Eduardo, nel ´61, chiedendo agli attori della compagnia De Filippo di doppiare i napoletani di Accattone. Ma in questo caso si trattava di qualcosa di molto più grande e importante. Per Maurizio Giammusso, «Pasolini vedeva nell´attore la maschera vivente di Napoli» (Vita di Eduardo, minimum fax, Roma 2009), e Napoli rivestiva per lui, per le sue idee, una importanza simbolica e politicamente strategica straordinaria, in quanto ultima e unica città a non farsi omologare linguisticamente dal neo-capitalismo attraverso la televisione.

Eduardo e Pasolini
Eduardo e Pasolini

E’ la città che riesce, al contrario del resto della realtà italiana, a conservare la propria identità linguistica e culturale originaria. Giova ricordare a questo punto che per Pasolini  il neo-capitalismo aveva avuto l’effetto devastante di trasmettere disvalori, quali il consumismo, la competitività sfrenata tra gli uomini, gli egoismi e la violenza messa spesso in campo come scorciatoia per ottenerli;  purtroppo tali disvalori sono penetrati in tutte le classi sociali, creando appiattimento e finendo piano piano per annullarne differenze e particolarità. Così la televisione, principale strumento di comunicazione al servizio del neo-capitalismo, ha contribuito non poco a tale appiattimento ideologico, ma in più ha creato un appiattimento culturale e linguistico, facendo dei modi e delle forme del milanese parlato dai businessmen la lingua modello a cui piano piano stanno finendo per conformarsi tutti o comunque per recepirla come punto di riferimento.
Invece Napoli, unica realtà secondo Pasolini, resisteva, con la sua lingua e la sua cultura. Non si era fatta omologare! Già a proposito del Decamerone del 1971, che inizia da Napoli e ritorna a Napoli con numerosi episodi dalle novelle dell’opera di Boccaccio, Pasolini aveva affermato che questa città è una tribù che rifiuta la società consumistica: «Ho scelto Napoli perché è una sacca storica: i napoletani hanno deciso di restare quello che erano e, così, di lasciarsi morire».
Eduardo aveva capito bene tutto questo, il valore straordinario che Pasolini aveva attribuito alla sua Napoli e contemporaneamente la stima professionale e l’affetto che lo legavano a lui. D’altra parte Paolini veramente amava e stimava Eduardo: egli criticava Strehler, Squarzina e la politica culturale dei grandi teatri stabili, basata su grandi spettacoli e manierismi decorativi. Li definiva «una forma di kitsch», mentre gli piaceva molto Eduardo, che «parla l´italiano medio parlato dai napoletani, evitando il mero naturalismo con una convenzione che è purissima lingua teatrale».
La stima era reciproca e tante, come vediamo più avanti, le consonanze, a volte le coincidenze, di carattere ideologico che uniscono i due personaggi. E perciò alla tragica morte di Pasolini Eduardo volle parlare, al di fuori di ogni ritualità, sì, volle parlare dell’uomo di cultura e dell’amico con parole bellissime che una persona schiva e riservata come lui (io ho avuto il piacere e l’onore di conoscerlo personalmente in una occasione speciale e in un appassionato colloquio in cui eravamo solo in tre dopo una sua rappresentazione) ha dedicato solo a rarissime persone, definendolo un amico “angelico”. Di lui dice di aver amato «la sincerità, la libertà assoluta del suo pensiero, la lucidità nell´analisi sociale, la ribellione all´ipocrisia e alla falsità.. Perché io so distinguere morti da morti e vivi da vivi. E Pasolini era veramente un uomo adorabile, indifeso; era una creatura angelica che abbiamo perduto e che non incontreremo più come uomo; ma come Poeta diventa ancora più alta la sua voce e sono sicuro che anche gli oppositori di Pasolini oggi cominceranno a capire il suo messaggio”. (Eduardo De Filippo, Intervento per la morte di Pasolini).
Il risultato di questa testimonianza è costituito anche da decine di lettere anonime di protesta e oltraggio che l’artista napoletano riceverà per aver osato “amare” e difendere il suo amico, ma questo non ferma il sincero dolore di Eduardo, che, malgrado le ingiurie ricevute, dedica a Pasolini una meravigliosa poesia, La spalliera di Cristo, 32 versi di affetto e sincero rimpianto, dove per “spalliera” di Cristo si intende la Croce, e quella di Paolini è all’interno dei 18 sassi che in origine, prima della costruzione del monumento a lui dedicato, delimitavano in un ovale il luogo della sua fine.  Una poesia che vale veramente la pena di riportare per intero:

Pier Paolo
di Eduardo De Filippo

Non li toccate
quei diciotto sassi
che fanno aiuola
con a capo issata
la ‹‹spalliera›› di Cristo.
I fiori,
sì,
quando saranno secchi,
quelli toglieteli,
ma la  ‹‹spalliera››,
povera e sovrana,
e quei diciotto irregolari sassi,
messi a difesa
di una voce altissima,
non li togliete più!
Penserà il vento
a levigarli,
per addolcirne
gli angoli pungenti;
penserà il sole
a renderli cocenti,
arroventati
come il suo pensiero;
cadrà la pioggia
e li farà lucenti,
come la luce
delle sue parole;
penserà la ‹‹spalliera››
a darci ancora
la fede e la speranza
in Cristo povero.
[1975]

La "spalliera" di Pasolini
La “spalliera” di Pasolini

Ma a mio giudizio, al di là della reciproca ammirazione artistico-professionale e della stima come uomo e poi amico, c’è un altro aspetto veramente fondamentale del loro rapporto che li cementa tutti, a mio giudizio, sui quali forse poco finora la critica si è soffermata: una grandissima consonanza ideologica. Mi riferisco alle posizioni di Eduardo sul sacro, sulla fede, e soprattutto sui valori del Cristianesimo delle origini e sul tradimento storico di essi da parte della Chiesa cattolica, verso la quale l’artista napoletano oscilla tra un “fragoroso” silenzio ed una critica sempre abbastanza esplicita, allorché da un lato i personaggi delle sue commedie, titolari di una religiosità immediata e popolare, si affidano ad essa sperando invano di trovare vero conforto, e dall’altro lato lui stesso, direttamente, quando ha parlato di vero messaggio religioso, ha sempre fatto riferimento, proprio come Pasolini, soltanto all’insegnamento diretto di Cristo e di San Francesco. L’anticlericalismo e il radicalismo-marxista, anch’esso così comune a Pasolini, è evidentissimo soprattutto nell’ultima parte dell’opera eduardiana.  E non è certamente un caso se la poesia cui si faceva cenno sopra, scritta per la morte del regista, termina con le parole, anch’esse polemiche, quel tipo di polemica indiretta che sapevano fare entrambi molto bene: “Cristo povero”.
Altro dato comune: entrambi erano amici o comunque non disdegnavano rapporti con religiosi, ai quali spesso confidavano le loro così simili posizioni laiche sul sacro e le loro perplessità sulla funzione storica della Chiesa cattolica. Pasolini aveva come interlocutore Don Cordero e poi, dopo la morte di questi, gli ambienti soprattutto della Cittadella di  Assisi, nei quali spesso si rifugiava; Eduardo aveva come amico Mons. Donato De Bonis. A quest’ultimo Eduardo scrive due anni dopo la morte di Pasolini una lettera su Le voci di dentro in cui ancora una volta, proprio come nella poesia dedicata al regista morto, Cristo viene citato con un aggettivo. Nella conclusione della poesia l’espressione era “Cristo povero”; qui è la “VERA parola di Cristo” (“VERA” polemicamente tutto maiuscolo è nella lettera di Eduardo) : “Queste voci che strillano lasciando smarrire le coscienze innocenti delle generazioni di oggi, al mio caro Donato dedico, affinché egli – sacerdote del pensiero limpido, responsabile e cosciente di un futuro aperto verso la VERA parola di Cristo – condanni senza pietà alcuna i remoti peccati commessi da remotissimi responsabili. Il suo Eduardo – Roma 25 dicembre 1977”.
E a proposito di San Francesco, l’altro punto di riferimento assieme a Cristo, che Eduardo ha in comune con Pasolini, al solito Donato scrive: “Mi è stato chiesto: cosa faresti se S. Francesco bussasse alla tua porta? Ho risposto: da quando ho l’uso della ragione consegnai al poverello di Assisi la chiave di casa mia. Da quel momento S. Francesco non bussa alla mia porta: entra quando vuole.” (Lettera a Mons. Donato del 28 febbraio 1981).
E ad Enzo Biagi, che in un’intervista gli chiede “Lei è religioso?”, Edoardo risponde. “A modo mio” (E. Biagi: “ Tragico anche se ride”, intervista in “Il Corriere della Sera”, 6 marzo 1977). Che poi era appunto lo stesso “modo” di Pasolini.
Si tratta dunque di una strana, perfetta consonanza ideologico-religiosa che ha portato Pasolini ed Eduardo a conclusioni molto simili, pur partendo da premesse diverse e con percorsi naturalmente differenziati. Per entrambi esistono ed hanno valore Cristo e S. Francesco e poi una Chiesa come istituzione che quasi mai è stata degna di essi. Entrambi sono portatori di una cultura laico-marxista che non contraddice, ma anzi avvalora l’altezza rivoluzionaria del messaggio di “Cristo povero”. Per entrambi il “sacro” ha un grande fascino, che cercano di interpretare e spiegare laicamente.