Casarsa, un paese di temporali e primule, di Giovanna Gammarota

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Un breve reportage di Giovanna Gammarota di una giornata casarsese. Contributo del 15 settembre 2013 dal gruppo facebook “Pier Paolo Pasolini”

Casarsa, un paese di temporali e primule
di Giovanna Gammarota, 15 settembre 2013

Trieste, 8 agosto 2008

© Giovanna Gammarota, Verso il cimitero di Casarsa, 2008
© Giovanna Gammarota, Verso il cimitero di Casarsa, 2008

La solitudine è una strana sensazione. Sono in vacanza, a casa di un’amica qui a Trieste. In questo momento però mi trovo in stazione, da sola, perché ho deciso di fare una gita a Casarsa. Al solito provo una stupida apprensione nel girare in posti che non conosco. Per fortuna le cose sono molto più semplici di quanto non si creda, e il mondo è abitato per lo più da gente ‘normale’. Ad ogni modo una folta pattuglia di polizia rende il luogo apparentemente sicuro, come vogliono i nostri governanti. Fermano chiunque abbia un aspetto un po’ strano chiedendogli i documenti. Agiscono stancamente, in modo quasi svogliato. Sembrano non preoccuparsi troppo di mettere in pratica le rudi disposizioni ministeriali. Non ho visto però, fino ad ora, i famosi militari di supporto. Mi chiedo come li giudicheresti tu, se ne prenderesti ancora le difese, provocatoriamente, come facesti quarant’anni fa. Di certo non decidono loro cosa è giusto fare per la sicurezza dei cittadini. Ecco quindi che la mia solitudine improvvisamente si popola: di pensieri, di soggetti da esaminare, di concetti da sviscerare e dunque non appare più tale quale normalmente la si vuole etichettare. Di colpo essere ‘da soli’ diventa una condizione irrinunciabile per arrivare al cuore delle cose. Diventa scoperta, come per me adesso qui, oggi, nella consapevolezza di ciò che mi appresto a fare per me sola. Il che non significa narcisismo o egoismo, è semplicemente ‘necessità’ di vivere centrati su se stessi, coerenti, vivi, anche ricercando un passato, una memoria che appare distante. La memoria non è mai chiusa. La memoria è una porta aperta, direi quasi spalancata, e non aspetta altro che la si oltrepassi.
Il treno è partito. Per fortuna la giornata non è calda come ieri e viaggiare in un vagone povero su un treno regionale è un po’ più sopportabile. Costeggiamo il mare uscendo dal territorio di Trieste. Si scorge giù in basso, il profilo candido del castello di Miramare. L’acqua è una tavola grigio-azzurra perfettamente piatta, in alcuni punti si confonde con il cielo altrettanto incolore. La costa del golfo di Trieste ora appare come una lingua scura di terra sempre più sottile, mano a mano che il treno si allontana. Poi ci addentriamo nell’interno e il mare non c’è più.

© Giovanna Gammarota, Verso il cimitero di Casarsa II, 2008
© Giovanna Gammarota, Verso il cimitero di Casarsa, 2008

Sono diretta a Casarsa. Non so descrivere le sensazioni che provo: sto andando in quel paese di cui ho sempre letto il nome sui libri, tutti quei libri che parlano di te, di quel periodo della tua vita in cui vivesti lì, con tua madre. L’intento è quello di compiere un pellegrinaggio nel luogo in cui sono sepolte le tue spoglie mortali, posare un fiore sulla tua tomba.
Le nubi ora sono più cupe, le stazioni si susseguono, spoglie e pietrose: paiono abbandonate. Ciuffi di miseri oleandri fioriti le addobbano, unica concessione all’ornamento. La luce è lattea ma non piatta. Il treno ha quindici minuti di ritardo: sembra impossibile – in questo nostro Paese – evitare queste disfunzioni. Fermi nella stazione di Udine, per non si sa quale motivo, attendiamo di ripartire con pazienza, mentre il cielo diventa sempre più grigio. Almeno non fa caldo, è già qualcosa.
All’arrivo a Casarsa la pioggia ha già fatto sapere che scroscerà. Raggiungo appena in tempo il piccolo cimitero. Poso rapidamente sulla tua tomba un fiore lilla, selvatico, come eri tu, strappato qui fuori sull’argine di un fosso. Mi scuso per la povertà di questo fiore, ma non ho trovato altro in questo paese sbarrato. Ora aspetto che spiova, sotto un loggiato, prima di sostare un po’ di più accanto a te.
Tuoni e anche qualche fulmine. L’aria sposta le nubi compatte con lentezza. La pioggia sembra attenuarsi, ma poi subito riprende, ancora più forte. Mi pare di dover aspettare in eterno. Osservo i campi appena fuori: una terra viva circonda questo cimitero, viva e verdissima. E’ singolare come questo pensiero, nella normalità delle cose, sfugga: attorno alla morte regna la vita. La morte è il cuore della vita, il suo nucleo. Essa alberga al suo interno e scopro che la sensazione di pace, che spesso si associa al concetto di ‘non esistenza’ fisica, non è poi tanto distante da noi, ma è addirittura ‘dentro’ di noi.
Piove a dirotto, ora, ma non ha importanza, anzi quasi sono contenta che piova così forte. Brandelli di sole squarciano di tanto in tanto la coltre compatta di nubi. E’ estate, ma questo tempo, in questo luogo, mi fa venire in mente il paesaggio raccontato così poeticamente in Un paese di temporali e di primule. Un temporale è esattamente quanto di meglio ci si potesse augurare durante questa breve visita. Il paese così, appare in una luce forse un po’ più simile ad allora, negli anni Quaranta, quando ci abitavi con tua madre. Sull’altro lato del cancello si trova il monumento ai caduti della Brigata Osoppo: nel 1945 Guido Alberto, l’unico tuo fratello, che ne faceva parte, cadde ucciso, a soli 19 anni. Allora oltrepassasti questa soglia reggendo quel fascio di dolore che doveva essere tua madre. Allora dovette già apparirti come la madre del Cristo deposto dalla croce. Chissà se fu questo il motivo che te la fece scegliere per quel ruolo in Il Vangelo secondo Matteo, lei ben sapeva cosa significhi perdere un figlio e avrebbe interpretato quella parte senza fingere. Non riesco a trovare la tomba di tuo padre e nemmeno nessuno a cui chiedere. Forse è destino che io non debba sostare anche davanti ad essa, per rispetto ai tuoi sentimenti nei suoi riguardi. Credo che la tua famiglia fosse essenzialmente tua madre.

© Giovanna Gammarota, Pier Paolo Pasolini al cimitero di Casarsa, 2008
© Giovanna Gammarota, Pier Paolo Pasolini al cimitero di Casarsa, 2008

Non smette di piovere. Adesso devo proprio andare, la frenesia della vita viva, fuori da qui, mi richiama a sé. Devo lasciare il cuore e tornare alla periferia. Rubo due foglie di alloro, per ricordo, dai due alberelli che ti sovrastano e bacio la pietra bianca su cui è inciso, semplicemente, il tuo nome: Pier Paolo Pasolini (1922 – 1975).

© Giovanna Gammarota