Quando Carlo Alberto Pasolini incontrò il Duce

La puntata di Rai Storia dell’8 gennaio 2021, intitolata “Gli attentati al Duce”, era dedicata ai diversi tentativi messi in atto per uccidere Benito Mussolini nel biennio 1925-1926. Il conduttore Paolo Mieli ha ricordato anche la presenza di Carlo Alberto Pasolini in occasione del drammatico episodio che vide protagonista il giovane Anteo Zamboni.
Bologna, domenica 31 ottobre 1926: si celebra la festa della rivoluzione fascista. La città è teatro di solenni e trionfali manifestazioni in occasione del quarto anniversario della marcia su Roma. Momento culminante la grande parata militare alla presenza di Benito Mussolini che nell’occasione, in mattinata, inaugurerà solennemente il “Littoriale”, uno dei più grandi e moderni stadi d’Europa. Complesso sportivo che anni dopo, nel 1934, ospitò la fase finale dei campionati mondiali di calcio vinti dall’Italia di Pozzo.

Stadio “Littoriale” di Bologna

Il duce in sella a un cavallo compie un giro dello stadio fra le acclamazioni delle legioni della milizia presenti in regione, di manipoli di ciclisti giunti dalla Lombardia, dal Veneto, dal Piemonte, di squadre a cavallo e di camicie nere da tutta Italia. Sono presenti anche reparti dell’esercito, della marina e dell’aeronautica. Quindi, pronuncia il suo discorso alle «forze armate della Nazione». Si parla di 150 mila fra attori e spettatori della grandiosa parata. Terminato il discorso, il duce, sempre a cavallo, si pone alla testa delle legioni e delle centurie e guida la sfilata fino a piazza Vittorio Emanuele, dove la rassegna di tutti i reparti dura un’ora e mezza. Dietro l’aria di festa, tra le file fasciste la tensione è alle stelle. La paura di un attentato è quanto mai presente.

Bologna, 31 ottobre 1926

Solo il mese prima, l’11 settembre, Mussolini era sfuggito alla bomba lanciata contro la sua auto dall’anarchico Gino Lucetti a Porta Pia; il 7 aprile l’irlandese Violet Gibson gli aveva sparato un colpo di rivoltella in pieno volto mentre usciva dal Campidoglio; a un anno prima, il 4 novembre 1925, risale l’attentato mancato del deputato socialista Tito Zaniboni e del generale Luigi Capello. La sera il programma delle manifestazioni è terminato e tutto sembra andato per il meglio: il capo del governo a bordo dell’Alfa Romeo rossa su cui viaggia si dirige, fra due ali di folla, verso la stazione.

All’improvviso echeggia un colpo di pistola sparato verso il  duce a poco più di un metro di distanza da un giovane uscito dal cordone militare. Il proiettile raggiunge Mussolini, trapassando il bavero della uniforme, quindi prosegue la sua traiettoria perforando il cilindro che il sindaco, seduto al suo fianco, tiene con la mano destra sulle ginocchia. Nel parapiglia che segue, un ragazzo identificato come l’attentatore viene linciato: si tratta di Anteo Zamboni, terzogenito quindicenne di un tipografo già anarchico e ora fascista, amico del leader del fascismo bolognese Leandro Arpinati.

Nelle indagini che seguirono e che evidenziarono inizialmente molte divergenze sull’identità dell’attentatore fu ascoltato la sera stessa del 31 ottobre anche il tenente Carlo Alberto Pasolini allora di stanza a Conegliano presso il 56° reggimento di fanteria: “L’automobile presidenziale – dichiarava Pasolini – giunta allo svolto di via Rizzoli-via Indipendenza rallentò la velocità e il sottoscritto ebbe l’impressione che fosse quasi ferma. In questo stesso momento vide un braccio allungarsi sopra la sua spalla sinistra ed udì un colpo d’arma da fuoco e vide la fiammata. Afferrò immediatamente il braccio stringendolo fra le sue mani facendo volgere l’arma impugnata verso terra ed impedendo che l’attentatore continuasse a sparare. In suo aiuto giunse subito il Rag. Vallesi [recte, Vallisi] che afferrata la mano dello sparatore gli strappò l’arma mentre due commissari di PS, Ufficiali della MVSN ed un maresciallo dei RRCC strappavano dalle mani del sottoscritto l’attentatore trascinandolo verso il Bar Centrale” (Archivio Centrale dello Stato, Roma, Tribunale speciale per la difesa dello Stato, b. 185, vol. III).

Carlo Alberto Pasolini

Nel documentato volume di Brunella Dalla Casa Attentato al Duce – Le molte storie del caso Zamboni (Il Mulino, 2000) scopriamo che la deposizione del tenente Pasolini viene contraddetta da altri testimoni: “I casi sono due: o Pasolini diceva il vero  ed erano in torto gli altri, oppure egli – e sembra l’ipotesi più probabile – su questo punto falsificava  un poco la verità, per coprire se stesso. La sua posizione, infatti, era particolarmente delicata, quale responsabile della sorveglianza nel settore da cui era partito il colpo d’arma da fuoco. Al povero tenente doveva sembrare meno grave ammettere di avere voltato le spalle al pubblico per assumere la posizione di saluto al passaggio del duce – nonostante gli ordini di servizio contrari impartiti nei giorni precedenti –  piuttosto che riconoscere la responsabilità, ben maggiore, di aver lasciato fuoriuscire dal cordone della truppa l’attentatore per avvicinarsi alla macchina e sparare”.

“Attentato al duce”, di Brunella Dalla Casa (Il Mulino, 2000)

L’attentato fa scattare in tutta Italia la reazione dei fascisti, e dà l’esca alla promulgazione delle leggi eccezionali – il famoso Codice Rocco – che sanciscono l’instaurazione della dittatura. Intanto la giustizia, sia pure fascista, segue il suo iter: nonostante la mancanza di prove del coinvolgimento della famiglia di Anteo nella preparazione dell’attentato, questi finiranno condannati chi alla galera, chi al confino. Il duce non poteva smentire la teoria del complotto antifascista e dare così spazio, magari, al mondo facinoroso dei dissidenti interno alle camicie nere.

A riferire per la prima volta del coinvolgimento di Carlo Alberto Pasolini in questo episodio “storico” è il cugino Nico Naldini nella cronologia che apre il primo volume dell’epistolario da lui curato Pasolini  Lettere 1940 – 1954, pubblicato da Einaudi nel 1986: “Come risulta da una sua testimonianza al processo contro Anteo Zamboni, ha affermato di aver assistito all’attentato contro Mussolini. Solo che questo attentato probabilmente non è mai avvenuto, è stato inventato dal Regime, e Carlo Pasolini vi ha collaborato con una sua parte di invenzione”. Come si può notare lo scetticismo riguardo la versione dei fatti fornita allora dal regime e presente in molti libri di storia del fascismo si estende anche al ruolo del colonnello Pasolini nella vicenda.

Anche lo scrittore americano Barth Schwartz nella sua monumentale biografia Pasolini Requiem (Marsilio 1995) riferirà l’episodio secondo questa ottica: “Una leggenda della famiglia Pasolini, secondo quanto riferisce Nico Naldini, racconta che Carlo Alberto e il suo Duce si «incontrarono» nel 1926. Quell’ottobre Mussolini era in visita a Bologna quando – così si disse – il quindicenne Anteo Zamboni sparò un colpo di pistola al Duce. Gli astanti si lanciarono sul ragazzo, inferendogli quattordici pugnalate. Fu fatto a pezzi, e parti del corpo vennero portate per le strade in quella che fu definita «un’orrenda e macabra cerimonia». Sembra tuttavia che il ragazzo fosse «quasi sicuramente un passante innocente», e che non ci fossero «testimoni molto convincenti, ad eccezione dello stesso Mussolini, che diede due descrizioni contrastanti del suo assalitore, nessuna delle quali corrispondeva al giovane» (…) Nico Naldini ricorda come lo zio Carlo Alberto raccontasse di essersi fatto avanti per testimoniare che aveva visto il giovane sparare e che, anzi, gli aveva urtato il braccio deviando così il percorso del proiettile”.

Pier Paolo Pasolini nei suoi innumerevoli scritti, nelle  tante lettere o negli interventi sulla stampa e in televisione, a differenza del cugino Nico, non ha mai fatto alcun cenno riguardo a questo “storico” episodio che avrebbe coinvolto suo padre. Un piccolo mistero, questo silenzio, che, con ogni probabilità, rimarrà per sempre senza una risposta.